Un ko così bruciante non può che far crescere

Nel recupero i giallorossi hanno giocato una gara troppo veloce e poco furba, l'opposto di ciò che era necessario per tutelare un risultato meritato

La vita è fatta di gioia ma anche di batoste. Lo sappiamo bene tutti noi, lo sa anche chi del calcio ha fatto il suo mestiere. E, per un calciatore o un allenatore (oltre, ovviamente, ai tifosi), non c’è forse sconfitta peggiore di quella che arriva a tempo quasi scaduto, quando il traguardo più o meno importante era lì, ad un passo dall’essere raggiunto.

La sconfitta con la Roma brucia, inutile negarlo. Per capirne i motivi basta leggere la cronaca, non contano certo il nome dell’avversario, il luogo teatro della disfatta o l’attuale posizione dei salentini, per fortuna ancora positiva nonostante il periodo magrissimo dal punto di vista dei risultati.

Tornando alla cronaca, senza approfondire troppo temi da noi analizzati in articoli ad hoc. Partenza sprint di una Roma poi controllata bene dal minuto 5 al minuto 93, nel mezzo nulla più di un paio di ripartenze e due strabilianti giocate singole di Dybala. Sulla sponda opposta, un Lecce formato diesel capace di crescere in modo tangibile ed organizzato, giocando meglio di minuto in minuto fino ad una ripresa in cui ogni azione orchestrata era potenziale o effettivo pericolo per Rui Patricio. Si poteva certo essere più cinici, in una circostanza con protagonista Strefezza probabilmente lo si doveva essere, perché certe occasioni è raro ricapitino. Al netto di ciò, però, il Lecce c’è stato, i ragazzi hanno dato grande prova di sé.

Anche l’idea del passaggio al 5-3-2 non era affatto sbagliata, perché trovarsi in inferiorità al centro della difesa contro una squadra che vantava tre punte di peso+Dybala sarebbe stato imperdonabile. D’Aversa ci ha provato e ci è andato davvero vicino. I tre punti sarebbero stati meritati, perché in relazione alle forse in campo il Lecce ha fatto di più e lo ha fatto meglio. Soprattutto lo ha fatto con cognizione di causa.

E invece in nemmeno tre minuti ecco la batosta. Una da batosta dalla quale non si può imparare, lo si deve. Gendrey si ricorderà bene che sull’avversario più esterno serve uscire con tutt’altro vigore, Touba si ricorderà bene che con una punta avversaria spalle alla porta e senza compagni con cui duettare nell’immediato cercare l’anticipo è un autogol, Kaba, Pongracic&co si ricorderanno che certi palloni in pieno recupero vanno spediti nel Tevere e non possono nemmeno avvicinarsi alla propria area. Tra possesso palla balbettante ed anche rimesse un tantino veloci, il Lecce non ha affatto rallentato i ritmi della gara favorendo il forcing di una Roma che davvero, fino al minuto 93′, dava l’idea di starci capendo proprio poco. E’ mancata la malizia, qualcosa di cui i giovani giallorossi sembrano essere completamente privi e che, purtroppo, si apprende quasi solo attraverso schiaffoni del genere. Ecco perché dall’Olimpico il collettivo di D’Aversa ne esce, per forza di cose, anche più forte.

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