Nel commentare a freddo Lazio-Lecce ci troviamo di fronte ad un deja-vu. Il Lecce gioca, crea, merita applausi, non sfigura al cospetto di una big eppure ne esce a mani vuote. Elementi che in una fase iniziale non fanno che ben sperare, ma trovarsi a soli 4 punti in più dalla zona salvezza nonostante la mole di gioco prodotta fa gridare vendetta.
Sia chiaro, non è scritto in nessuna Sacra Scrittura che i salentini, seppur con un collettivo migliore quest’anno rispetto ad almeno quattro delle inseguitrici, debbano arrivare alla salvezza in carrozza. Il discorso qua è un altro e parte dall’eterna dicotomia gioco/risultato. Fattori che ogni tecnico, dirigente, calciatore e tifoso sogna vadano a braccetto, e la cui importa segue anche l’andamento dei momenti della stagione, portando spesso ad alternarsi.
Ecco, tutti avremmo firmato per arrivare al 15 gennaio da tredicesimi, sempre a distanza di (molta o un po’) sicurezza dalla zona rossa e con il gioco espresso ad oggi. Gare come quelle con Atalanta, Cagliari e Lazio lasciano però troppo rammarico dietro per rimanere impassibili dinanzi all’avvicinarsi del Verona terz’ultimo. Verona che ora è solo a quattro lunghezze dal Lecce: calcisticamente una vergogna, a parere personale, per quanto messo sul campo dalle due squadre in questi sei mesi di campionato.
Eppure con un solo successo in quindici gare (assurdo, davvero, ma vero) un Lecce che sarebbe benissimo potuto essere a 26-27 punti si trova non intimorito, ma di certo più sul “chi va là” rispetto a qualche settimana addietro. Niente drammi, niente critiche eccessive (come si può crocifiggere una squadra che domina per così larghi tratti sul campo di Atalanta e Lazio?), solo la ricerca di una consapevolezza: ci stiamo avvicinando a quella fase dell’anno in cui parlare di prestazione varrà sempre meno e parlare di punti sempre più. E’ bene iniziare a prepararci ad un tipo di pressione che, ad oggi, non c’è mai stata e di cui purtroppo nel calcio nessuno può fare a meno, dal Manchester City al campionato amatori.