Atalanta, Lazio e Genoa. Senza andar troppo indietro, senza allargare troppo un discorso già ampio di per sé. Tre gare che il Lecce non giocò certo in modo perfetto, e ci mancherebbe, ma comunque molto bene sprecando tanto, non riuscire a resistere ai primi attacchi avversari e raccogliendo, clamorosamente, zero punti. Per chi scrive, che trova rimuginare, struggersi, accusare fino troppo fine a sé stesso e poco incline al proprio carattere, il pensiero andò subito in direzione della prospettiva del cammino giallorosso: ma se giocando meglio dell’avversario il risultato è questo, cosa succederà mai quando arriverà (e prima o poi arriva) una gara-no anche fuori casa?
Perché diciamolo, il Lecce che ha gioito solo tra le mura amiche in realtà di gare “sbagliate” ne aveva fatte più dentro che fuori, dove di fatto si era sempre misurato alla pari o quasi, apparendo all’altezza con Juve e Inter, meritando di più con Roma e le già citate. Di fatto, forse, la peggior versione esterna dei giallorossi pre-Dall’Ara era stata con l’Empoli, in una gara in cui si subì una sorta di mini-assalto di mezz’ora da parte di una squadra disperata. Ci poteva stare, dunque non è stato certo un essere “diversi” fuori dal Salento che rende il Lecce una squadra da zona retrocessione per media punti esterna.
Il problema non è dunque nel gioco, nell’identità, ma probabilmente nel carattere di un gruppo giovane che fatica a crescere sotto questo punto di vista. Un collettivo che ha bisogno di non 2, 3 o 4mila salentini, ma di 30mila per poter reagire ai momenti di sconforto che arrivano anche tra le mura amiche (vedi il quarto d’ora di nulla post 1-2 di Beltran con la Viola), di quel qualcosa che faccia riscoccare una scintilla senza la quale la squadra fatica, mancando della giusta cattiveria in zona gol (da lì il festival degli sprechi di cui si è già parlato) e della giusta coesione a proteggere un vantaggio o anche solo uno 0-0 prezioso se il gol non arriva.
La domanda iniziale per chiudere il cerchio: come sarebbe potuta mai andare giocando male non più per i fisiologici 20 minuti, ma per un’ottantina abbondante? La risposta veste di rossoblù. Si è parlato tanto di un Bologna formato Champions. Sì e no, nel senso che ha trovato la spalla ideale in un Lecce che non ha saputo reagire prontamente al gol al freddo e, quando sembrava poterci riuscire, si è sciolto definitivamente dopo un 2-0 che, con un intero match da giocare, non doveva mica per forza significare goleada. Ma questa squadra è ancora giovane, è ancora non pronta a fare quelle gare “sporche”, quelle in cui giochi male e resisti, come non riesce a fare quelle in cui si raccoglie gran parte del seminato. Basti pensare ai successi con Genoa, Frosinone e Fiorentina, arrivati di misura quando sarebbe stato più giusto un distacco di 2 o 3 gol. E invece serve altro, perché non ci si può esaltare solo quando si è “accesi”. Per restare a galla, per crescere, serve anche saper prendere il massimo anche quando la contesa è più tirata, più di sciabola, se non anche nelle giornate no.