Corvino diventa un album rap: GentleT ci racconta “La visione di Pantaleo”

Il rap underground, fuori dai canoni commerciali e fatto di etichette hip hop indipendenti, incontra il calcio e lo stile unico nel suo genere di Pantaleo Corvino

“Da Lecce e per Lecce”. Il rapper originario di San Pietro in Lama, molto conosciuto nella scena underground, ha parlato di vita, società, strada e radici inserendo il calcio partendo dalle citazioni di Pantaleo Corvino nelle sue rime. GentleT, rapper che porta alta la bandiera di Lecce e del Lecce sulla scena nazionale e, nel disco realizzato con Mr Squito, che ha curato i beat, si ha una visione diversa di una generazione che a Lecce è cresciuta e a Lecce è rimasta irrimediabilmente legata.

Con tanto piacere, abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due chiacchiere con GentleT per far conoscere il rap underground e parlare ovviamente di calcio e Lecce, descritti nel suo disco e linkati per chi volesse ascoltarli su Youtube.

Innanzitutto, come hai iniziato a fare rap e quali sono stati i tuoi primi progetti?

“Prima di partire ne approfitto per ringraziarvi per lo spazio che mi state dando, è veramente un piacere per me rispondere alle vostre domande. Io mi sono avvicinato al rap molto presto, da ascoltatore appassionatissimo nei primi anni 2000. Per quanto riguarda il mio rap invece ho iniziato facendo freestyle nel 2009, partecipando ai primi contest di freestyle e registrando i primi pezzi. Il mio primo disco ufficiale è uscito nel 2016, e da lì in poi ho pubblicato musica regolarmente. Durante tutto questo tempo ho sempre portato avanti parallelamente i progetti insieme alla mia crew storica, Illegal Meeting, che a Lecce conoscono bene e più recentemente il tutto è sfociato in Kiazza Mob, collettivo di rapper e producer salentini di cui faccio parte. Nel 2020 ho avuto i primi contatti con MxRxGxA (Make Rap Great Again, ndr) e da quel momento l’attenzione sulla mia musica è aumentata notevolmente. Porterò tutte queste cose con me per sempre”. 

Fai parte di Make Rap Great Again, un collettivo fondato nel 2018 da Gionni Gioielli con lo scopo di ridare dignità alla parte più underground del rap italiano tramite la creazione di un’etichetta discografica con il suo immaginario ben definito e prodotti di qualità. Poi, in Bar Sport si legittima una nicchia con altre realtà. Dopo aver spiegato il progetto in poche parole ai non esperti, ritieni che muoversi in gruppo può dare forza a questo genere?

“Da quando ho iniziato a fare rap ad oggi intorno a me c’è sempre stato un gruppo di persone a spingere il progetto. Qui a Lecce abbiamo fatto davvero tante jam con Illegal Meeting, abbiamo mosso un bel pó di cose, ora faccio anche parte del collettivo Kiazza Mob. Per MxRxGxA stesso discorso, magari in scala un po’ più grande. Il punto di fondo però è che la condivisione e l’aggregazione possono portare solo benefici. Il motivo per cui il mio progetto “Bar Sport” è andato così bene anche da indipendente è proprio legato alle connessioni e la rete create fino a quel momento. Chi si è avvicinato grazie a Gran Turismo è rimasto “fedele” anche per Bar Sport, chi mi ha conosciuto con Bar Sport ora si pompa La Visione di Pantaleo é così via…”

Ovviamente, ci spostiamo nel cuore di quest’intervista. L’arte del parlare inizia proprio con un audio di Corvino e la differenza tra vedere e intravedere. Come spiegheresti “intravedendo” la correlazione tra il lavoro di Corvino, il Lecce di questi anni e la musica rap, specialmente al giorno d’oggi in cui questa scena rischia di diventare di plastica?

“Nel discorso iniziale di Pantaleo Corvino è racchiuso il messaggio del disco intero. In quelle parole il direttore spiega molto semplicemente che per fare le cose perbene non basta guardare quello che si ha sotto il naso, bisogna riuscire a guardare oltre, essere lungimiranti. Mentre molte squadre pensano a fare il colpo di mercato spendendo cifre importanti  e mettendo a rischio la sostenibilità di alcuni affari, c’è chi porta avanti una filosofia basata sull’investimento sano, che sicuramente fa meno effetto dal punto di vista “mediatico” ma che si rivela più redditizio a lungo andare e che a volte si trasforma in un vero e proprio miracolo (non c’è bisogno di citare tutte le volte che è successo nel nostro Lecce). La mia visione in ambito musicale è esattamente questa. Non ho mai puntato al ‘colpaccio’, magari spendendo dei soldi per dei featuring che avrebbero potuto dare molta più visibilità ai miei dischi, eppure la gente col passare del tempo se ne è accorta lo stesso, il tempo mi sta dando ragione e credo sia grazie alla dedizione, la costanza e la passione che ci metto, proprio come Pantaleo. Mi permetto anche di sottolineare l’errore all’inizio del discorso (‘io non sono uno che piace molto l’arte del parlare’). In questa frase ci vedo il mio non stare attento ad utilizzare particolari ‘strategie’ di marketing per spingere i miei progetti. Nelle mie storie Instagram ci trovi la mia musica e quello che faccio normalmente la sera al bar con i miei amici, senza trovate studiate a tavolino per creare hype. Insomma io preferisco la musica a tutto quello che c’è dietro, i fatti alle parole.”. 

“Una Ferrari blu a Lecce”. Un titolo, un manifesto. Come la frase “questi non sono del mestiere, ma lo fanno nel calcio come in Arabia Saudita”. Come ci racconti questo pezzo, anche alla luce della coda della prima domanda?

“In ‘Una Ferrari Blu a Lecce’( che spero un giorno possa essere la mia) porto avanti il discorso che facevamo prima. Come non definirei calcio quella schifezza che ci stanno propinando dall’Arabia Saudita, allo stesso modo non definirei rapper ogni giovane (o meno) che si alza una mattina e spara due fesserie davanti ad un microfono. Sono molto aperto a tutte le novità e seguo tantissime realtà che fanno cose diverse dalla mia, però se non vedo un significato, anche il più frivolo, dietro ad un singolo, un disco o un progetto in generale, allora non mi interessa”. 

Il ritornello di “La visione di Pantaleo” entra in testa tra sound e storytelling che accomuna molti di noi cresciuti su quei gradoni. 

“Si la title track è quella che resta più in testa ed anche questa è venuta fuori molto spontaneamente. Zeboh è con me nel viaggio praticamente dall’inizio, è un fratello e non c’è stato bisogno nemmeno di dargli una linea guida per il ritornello. Dopo un paio d’ore da quando gli ho chiesto se avesse potuto scrivere un ritornello lui me lo aveva già mandato registrato in studio. Lil Pin invece l’ho conosciuto più di recente (intendo di persona perché la sua roba me la sentivo già molti anni fa) e si è rivelato una persona fantastica. In comune abbiamo la passione ognuno per la sua squadra, lui è un grande tifoso del Cagliari. Quest’anno abbiamo festeggiato la salvezza insieme. Il pezzo non ha bisogno di descrizioni credo, semplicemente ti porta in una atmosfera che ti fa sentire allo stadio a goderti la partita tra cori, birre e tutto il resto”. 

T For the People e Dialetto sembrano essere degli interlude fondamentali per il tuo album. Ovviamente qui parliamo di calcio e nel primo pezzo ricordi un arbitraggio di certo non favorevole al Lecce, di Dondarini in Lecce-Sampdoria 1-3 del 2009. La domanda sembra ovvia, ma il rap è ormai letteratura. Cosa sono per te Lecce e il Lecce e quanto di questo porti nella tua musica?

“Devo essere sincero, non vado molto spesso allo stadio. I primi ricordi che ho dello stesso sono proprio quei cori quando mi ci portava mio padre da piccolo. Nonostante questo però credo di aver perso pochissime partite da quando riesco a ricordarmi, specialmente negli anni in cui ho vissuto in Germania dove a volte non riuscivo per lavoro o per le storie sui diritti televisivi. Nella mia musica ho sempre portato riferimenti al calcio e a quello che ci ruota attorno semplicemente perché sono un grande appassionato e mi ritengo fortunato ad essere di Lecce e tifare Lecce, perché questa squadra regala sempre grandi emozioni. Comunque i cori contro Dondarini me li ricordo benissimo, ero allo stadio e credo stessero cantando proprio tutti, non deve essere stato un bel pomeriggio per lui!” 

In Family Affairs sembri portare avanti un rapporto un po’ conflittuale con la tua terra natale. Ci sono nostri concittadini che tagliano le radici invece altri portano alto l’orgoglio. Come descriveresti questa tua sensazione anche se personalmente la barra di “Dialetto”, “parlo ancora dialetto/nella masseria che aspetto carne dal caminetto/giro il mondo e torno a Lecce con il vestito più bello…

“Si, chi mi segue da un po’ di tempo sa che ho parlato spesso di questo tema. Io sono uno di quelli che ha sempre voluto provare ad andarsene da qui, in diversi momenti della mia vita. In effetti l’ho fatto, sono stato fuori per diversi anni. Quello di cui mi sono accorto però è che casa mia, questo posto, con tutti i difetti che può avere mi manca sempre quando sono lontano. Spero di poter viaggiare di più, magari anche grazie alla musica, e di girare il mondo, ma credo che difficilmente sceglierei di andarmene per sempre”.

Hjulmand, Tonetto per il Lecce, poi Grealish, Ronaldo. Quale calciatore ispira la tua creatività? E, più semplicemente, qual è il tuo preferito? E quando hai vissuto le emozioni più forti per il Lecce?

“Mi stai chiedendo il mio calciatore preferito? Sarebbe impossibile dirne solo uno. In assoluto ti direi Roberto Baggio. Poi sono un fan di tutti quelli che tiravano i calci piazzati negli anni 90/2000: Nakamura, Van Hoojdonk, Juninho Pernambucano, Okocha. Il calcio, a certi livelli, è arte e l’arte non può che essere di ispirazione per crearne altra. L’emozione più forte per il Lecce… ce ne sono state tante. La più recente è la salvezza dell’anno scorso. Ero con Gegè in macchina di ritorno dal live con MXRXGXA a Roma e abbiamo seguito la partita contro il Monza alla radio, in autostrada. Al gol di Colombo sul rigore eravamo appena entrati in Puglia, stava anche piovigginando e abbiamo rischiato seriamente di cappottarci!” 

“Prima alba a Sud-Est” chiude con il botto, sia con basi e rime di un pezzo molto profondo. Così, l’album “La visione di Pantaleo”, termina con Corvino che racconta il passaggio del Lecce e del Salento in un’altra dimensione grazie a una Notte della Taranta. Come ti è venuta quest’idea dalla riuscita romanticamente forte?

“L’ultima traccia, come consuetudine nei miei dischi, è quella nella quale lascio andare la penna verso un qualcosa di più sentito a livello personale. Mi soffermo su quello che sarebbe il mio sogno, vedere tutti i miei amici che magari sono andati via per trovare fortuna altrove tornare “su un macchinone” , cioè realizzati, per poter stare tutti bene insieme a goderci il nostro meraviglioso Salento senza doverci preoccupare di come pagare le bollette. Il discorso di Corvino alla fine mi ha fatto emozionare veramente quando l’ho sentito, e mi ha fatto pensare a cosa abbia significato per lui vedere tutto il suo lavoro e i sacrifici di tutti quelli che hanno lavorato insieme a lui finalmente ripagati con una  superstar internazionale che durante il suo concerto indossa la maglia del Lecce. Questa roba è più del calcio, è più di uno sport o di un lavoro, è magia!”

Ti salutiamo con una domanda un po’ tecnica. Hai un flow diverso dal rap oggi a uso e consumo delle masse. I riferimenti sembrano essere meno? Tu a chi ti ispiri?

“Intanto ti ringrazio perché prendo questo come un gran complimento. Per me suonare “unico” è sinonimo di avere una personalità. Ascolto tantissima musica e, devo dirti la verità, durante il mio percorso quasi tutti i miei “miti” a livello di rap italiano mi hanno deluso, o comunque mi hanno fatto perdere quella voglia di seguirlo in maniera ossessiva come facevo una volta. Detto ciò ho ancora i miei punti fermi nel panorama italiano, ma ascolto quasi esclusivamente rap americano. Cerco di diversificare gli ascolti per cogliere il bello di ogni uscita e cercare di trarre ispirazione per fare la mia roba. Mi fa molto piacere, piuttosto,  il fatto che  ultimamente tanti ragazzi mi abbiano riconosciuto il fatto di essere un’ispirazione per loro, cosa di cui non posso che essere onorato”. 

 

 

 

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