E’ sempre tutta colpa del Lecce Primavera

Le assurde convinzioni di chi è a capo di un calcio ormai incapace di produrre talenti emblema eloquente di tutto ciò che andrebbe cambiato ed invece non si smuove

Queste righe sono state buttate giù nella serata di ieri, poco dopo la debacle europea di una Nazionale che, ben oltre un risultato che può anche starci, non si era quasi mai vista nella sua storia così povera di talento, qualità e idee. L’Italia capace di sfornare campioni è un lontano ricordo, e la verità è che il flop di Spalletti, che non è isolato ma si somma alle quattro figuracce mondiali da cui si arriva (due eliminazioni ai gironi+due non qualificazioni, oggettivamente uno scandalo) è molto più sintomatico di quanto lo fossero stati gli isolati (ed a questo punto fortuiti) exploit di Prandelli, Mancini ed in parte Conte.

I calciatori italiani hanno sempre meno qualità ed il bello è che chi comanda, anziché rivoltare come un calzino il sistema dei settori giovanili e dei centri tecnici federali, si fossilizza su idee che possono quasi solo arricchire le big come una A a 18 o, addirittura, ha la sfacciataggine di accusare la società meno economicamente abbiente dell’olimpo del calcio italiano di essere colpevole di quanto avvenuto.

Anziché fare mea culpa, farsi da parte o ammettere il pessimo stato di salute in cui versa il panorama giovanile del Belpaese, il presidente della FIGC se l’è presa in passato, e l’ha assurdamente rifatto oggi, con il Lecce. Il motivo? Aver vinto uno Scudetto Primavera con una rosa fatta all’85% di stranieri. Il capo del calcio che scarica responsabilità sulle realtà più piccole, un po’ come se l’amministratore delegato di una multinazionale la mandasse in bancarotta ed accusasse il responsabile del piccolo singolo ufficio di aver fatto di necessità virtù risparmiando sull’utilizzo di carta riciclata per le proprie stampanti.

Un esempio stupido per un discorso che è stupido in incipit, perché in un panorama arido una piccola squadra non può pagare a peso d’oro i pochi elementi di prospettiva autoctoni (se ci sono), ma deve fare i conti con la propria economica ristretta, senza l’obbligo di sobbarcarsi il peso di un intero sistema la cui salute non è certo propria responsabilità. Dall’alto al basso c’è tanto da cambiare, con le dovute proporzioni, con il dovuto ordine, con onestà e senza ipocrisie. Perché se prima si fanno i complimenti alla gestione sostenibile di un club e poi si accusano le modalità con cui questa si manifesta, collezionare figuracce e gettare sale su un terreno inevitabilmente non più fertile diviene oggettivamente l’unica conseguenza possibile.

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