I gol mancati dal Lecce e l’errata gestione dei minuti finali con il Parma? Errori di gioventù. La partita neppure giocata con il Sassuolo? Errori di gioventù. I 5 minuti di follia e la mancata reazione con il Milan? Errori di gioventù. Tre indizi che fanno una prova: è meglio cambiare registro perché questo tipo di dialettica è controproducente.
D’altronde qualsiasi uomo di campo lo sa: gli errori servono, sono fondamentali per lavorare, intervenire, crescere. Ascrivere tuttavia ogni defaillance a quel naturale peccato di essere nuovi di qualcosa comporta però un rischio enorme, quello di lasciar correre senza mai prendere di petto una problematica. Anche perché, è oggettivo, l’unico a poter intervenire sull’età è il trascorrere stesso del tempo. Ciò che può cambiare il corso delle cose è invece ciò che fai tu mentre le lancette girano.
Senza scendere troppo nel filosofico e nel metafisico, tornando al campo è stucchevole per tifosi ed appassionati e controproducente per i protagonisti tirare in ballo sempre, troppo e costantemente il concetto di gioventù ed inesperienza. Siamo la squadra più giovane ed è tanto bello quanto risaputo. Il bello sta però nell’essere diamanti grezzi su cui è possibile lavorare per far sì di creare valore. Se però con il Parma ci si intestardisce nella ricerca del gol personale o non si esegue un’adeguata copertura al momento clou, se con il Sassuolo si scende in campo in ciabatte con la testa già alla Serie A, se con il Milan (e con l’Atalanta, ed in parte con l’Inter) ci si scioglie alla prima offensiva avversaria beh, è perfettamente inutile ripetere “siamo giovani”. Questo è scritto nei numeri. Ora è il caso di dimenticare questa “scusa” e pensare a lavorare. A 18 anni o a 58 non contano le parole, le giustificazioni, le analisi: conta quanto fai in modo che l’errore commesso non avvenga più.