Solo 4 cambi con Helgason stremato, altra bocciatura per Rebic, Rafia&co

Il Lecce nell'ultimo quarto di gara ha messo sotto torchio il Venezia, chiudendo in calando anche per mancanza (volente? Nolente?) di alternative

Nel calcio moderno si gioca ormai non più in 11 ma in 16, come mister Marco Giampaolo non smette mai di ricordare a sottolineare l’importanza che possono avere le sostituzioni. Anche per questo motivo fa specie come, proprio in una gara importante e dispendiosa come Lecce-Venezia di ieri, abbia optato per non dar fondo ad una rosa al completo, non sfruttando tutti gli slot a disposizione. Aspetto che si porta dietro una duplice chiave di lettura, purtroppo in entrambi i casi non propriamente positiva.

Dopo l’intervallo ed un primo tempo giocato in modo più che discreto, i giallorossi metaforicamente non non scesi in campo, regalando un quarto d’ora (e forse un punto) all’avversario. Così, a svantaggio acquisito, Giampaolo ha scelto di chiedere aiuto alla panchina, sostituendo in un unico colpo i due mediani Coulibaly e Ramadani con i più votati alla costruzione Pierret e Berisha. In concomitanza un esausto Pierotti ha lasciato il posto a N’Dri, il quale ha portato brio sulla destra. Dopo il gol di Baschirotto, l’ammonito e bloccato Guilbert è poi stato rimpiazzato da Danilo Veiga, anch’egli più pimpante del sostituito. Cambi azzeccati nel complesso quindi, ma il tecnico non ha osato farne un quinto, che ci stava perché dopo un 25 minuti di nuova superiorità il Lecce è tornato a sbandare, non creando più nel finale e rischiando anzi in ben 3 circostanze.

Questo anche perché vi erano elementi, come ad esempio Helgason su tutti, che dopo aver lasciato tutto sul campo avevano iniziato comprensibilmente a girare a vuoto. In panchina, a livello numerico e di caratteristiche, le alternative c’erano eccome. A partire dal sostituto più naturale, Rafia, passando poi a Karlsson che a Genova ha già dimostrato di poter anche agire da trequartista centrale, o ancora Kaba impiegato spesso da mezzala avanzata di un centrocampo asimmetrico fino a, dulcis in fundo, un Rebic che sottopunta ha nettamente dato il meglio di sé nella ad oggi deludente esperienza salentina.

Per carità, non parliamo di elementi che hanno dimostrato una grande condizione psicologica, tecnica e fisica, lo sappiamo bene. Al contempo, però, se si pensa che in gare in cui si dovrebbe attingere ad ogni arma a disposizione possibile si sceglie di lasciare tutto com’è proprio nelle circostanze di maggior spremitura (ed anche l’ipotesi della necessità del battitore da corner viene meno, vista la presenza di Berisha in campo), allora evidentemente la situazione è, sotto questo aspetto, obiettivamente poco incoraggiante.

Il tecnico potrebbe infatti non avere in questo momento certezze tattiche che vadano oltre il 4-3-3 asimmetrico, o 4-2-3-1 impuro che dir si voglia, tanto da preferire lasciare le cose tatticamente immutate nei frangenti più delicati di incontri che sono, e presumibilmente saranno, finali a ripetizione. O ancora alcuni elementi potrebbero aver disatteso le aspettative così a lungo da non essere considerati adeguatamente nelle situazioni più “scottanti”. E su questo, sulla necessità di recuperare per quanto possibile elementi di una rosa numericamente lunga, bisogna lavorare. Anche se il tempo stringe. Con la speranza di aver appreso importanti lezioni in chiave futura.

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