Le sue idee sono superate. Non si sa adattare. Non è allenatore da prendere in corsa. Sa solo farsi esonerare. E’ un meme vivente. E’ tutta teoria e niente arrosto. Quante ne abbiamo sentite, da novembre a oggi, su Marco Giampaolo? Un tecnico dal curriculum fatto sì di insuccessi ma anche di traguardi e riconoscimenti, giunto però in un contesto di scetticismo come raramente si sono mai visti in casa Lecce. Ma anche a livello nazionale.
Nonostante dalle parti di Coverciano sia considerato uno dei migliori “insegnanti di calcio” della sua generazione (il soprannome di Maestro gli era stato conferito senza il benché minimo connotato ironico), le recenti avventure con Milan, Torino e Samp-bis lo avevano contornato di pregiudizi. Tanto da indurlo ad allontanarsi brevemente dal mondo del calcio. Poi, a inizio novembre scorso, la chiamata del Lecce che gli ha offerto una possibilità di rimettersi in gioco colta al volo.
Così, dopo stagioni di riposo prima e studio poi, Marco Giampaolo da Bellinzona è tornato in sella, con la voglia di un ragazzino, a guidare una squadra giovane e con non tantissima gente esperta di Serie A, oltre che in difficoltà di prestazioni ancor più che di classifica. E l’approccio è stato di quelli da ricordare, di quelli che valgono mezza salvezza.
Aiutato dalla fortuna (e dai cambi che hanno ribaltato il trend in una mezz’ora finale dominata) con il Venezia, dalla Juve a fine febbraio il tecnico ha sbagliato una sola partita, quella con l’Inter, e due secondi tempi, quelli con Roma e Cagliari. La media punti però parlava chiaro: con quattro vittorie, quattro pareggi e cinque sconfitte, i salentini vantavano un trend da undicesimo posto. Questo grazie soprattutto all’abilità di una guida tecnica che, nonostante una rosa non delle migliori tra quelle allestite dal Lecce nelle ultime stagioni ed addirittura indebolita a gennaio, ha saputo portare una ventata d’aria fresca.
La sua visione di calcio ha dato confidenza tecnica, per quanto possibile, e certezze tattiche, con stravolgimenti di modulo ridotti alle necessità del saltuario adottamento di una difesa a tre o di una doppia punta vista a sprazzi. Si è visto un Lecce più convinto, capace di creare il giusto ma di farlo in modo più pulito, si vedano le belle azioni orchestrate soprattutto con Monza, Genoa (in casa), Empoli e Parma (in trasferta). Si è visto uno spirito diverso, più battagliero, frutto di un’ottima gestione dell’emergenza di inizio inverno. E la gestione di alcuni elementi è stata da subito impeccabile, veda un Krstovic tornato protagonista perché leggermente deresponsabilizzato in alcune situazioni che lo hanno portato ad essere più lucido e meno testardo. Tutto molto bello. Almeno fino a fine febbraio.
Poi, qualcosa è andato affievolendosi. L’entusiasmo iniziale è fisiologicamente calato, le squadre avversarie, inizialmente “sorprese” dall’effetto Giampaolo, si sono attrezzate a rispettare maggiormente il suo Lecce. La principale causa è da indicare nel fatto che non avesse a disposizione la miglior rosa possibile in termini di qualità (a quantità invece nulla da dire, e lì è stato forse lui a sbagliare e non sfruttarne meglio la profondità) tra quelle ideali per ottenere una salvezza senza eccessivi affanni. Così, una volta spremuti al massimo gli elementi principalmente utilizzati (alcuni, come Jean, Pierret, Coulibaly, Morente e Pierotti, sono spesso andati oltre le proprie possibilità), si ritrovato in mano una squadra scarica. E lì, dopo averci messo tantissimo del suo in positivo, è mancato però in qualcosa, tipo intuire il fatto che fosse il momento di cambiare registro, che mancassero piedi e lucidità per fare un certo tipo di calcio quando i punti iniziavano a pesare. Un ritardo nell’avvicendarsi di atteggiamenti che stava per costare caro, pur avendo di fatto portato solo sconfitte di misura o quasi.
E che, però, lo ha visto rinsavire proprio nel momento clou. Lasciato perdere il palleggio esasperato, “normalizzata” la fase di possesso e sacrificato qualche credo in nome di un “o la va o la spacca” che, in certi momenti, è inevitabile, nelle ultime due gare si è visto un Lecce diverso. Un Lecce capace di mettere le motivazioni superiori alle avversarie di turno finalmente sul piatto, sacrificando qualcosa sul piano del credo tecnico-tattico ma guadagnandoci in fame, aggressività, semplicità, concretezza. Di quelle che posso anche essere secondarie per due terzi del cammino, ma certo non alla fine dei giochi. E lì che si è visto nuovamente quel Marco Giampaolo che il calcio lo sa fare, lo sa masticare. E che finalmente, dopo tanti sfottò e delusioni, si è preso un traguardo che vale come uno Scudetto.