Italia imbarazzante con la Moldavia: la Primavera del Lecce ha colpito ancora

Dall'assurda polemica contro quel modello Lecce in altre sedi così tanto elogiato per la Nazionale azzurra è stato crollo verticale senza la minima chiamata alle responsabilità

Dopo l’Europeo, ora il disastroso approccio, il peggiore della storia della Nazionale italiana di calcio, con le qualificazioni a Mondiali divenuti in media lontani ricordi post-adolescenziali. La maglia azzurra ha vissuto momenti migliori di quelli attuali, stretta in una morsa di incontrastato degrado che prosegue, intervallato da episodici exploit che confermano la regola (altrimenti non sarebbero, appunto, così saltuari), nell’immobilismo dei quadri dirigenziali. E con allenatori costretti ad agire da parafulmini esclusivi, da Donadoni a Spalletti, passando per un Ventura trattato come il peggiore degli sprovveduti come non avesse già una selezione relegata ad una (con rispetto ed affetto) Grecia qualunque.

Negli ultimi giorni l’Italia ha vissuto i momenti più imbarazzanti della sua storia, umiliata in Norvegia prima e presa a pallonate dalla Moldavia, in un match scandalosamente concluso 2-0 quando il pari sarebbe stato il risultato più onesto. Sembra ieri che si criticava l’umiliazione inferta dalla Svizzera, ma anche prima ancora da Macedonia del Nord, Svezia, Costa Rica, Nuova Zelanda. Con la lista pronta ad allungarsi ancora.

In questo desolante panorama che necessita interventi, cosa fa Gabriele Gravina? Nulla. Negli ultimi anni lo abbiamo sentito attivarsi improvvisamente solo per isolate polemiche con l’avversario polemico di turno o, peggio ancora, per lasciarsi andare in slogan goffi, decontestualizzati, controproducenti. Come la sua celebre battaglia dialettica contro quella squadra che della crisi del calcio italiano è la conseguenza per chi fa di necessità virtù, quindi l’opposto della causa: la Primavera del Lecce.

Sono passati esattamente due anni da quando, dopo mesi passare ad elogiare giustamente il modello Lecce, un modello che in assenza di petroldollari e fondi dalla discutibile etica e dall’incerto futuro, ha tracciato la via della sostenibilità come quella ideale per la rinascita, per compiacere la superfice ed aggirare il problema il presidente federale sottolineò quanto poco giusto sia puntare su un collettivo di stranieri per l’ai tempi Under 19. Ma Gabriele Gravina, vecchio volpone, sapeva benissimo di mentire.

Come può un club essere sostenibile senza creare valore? E come può un piccolo club creare valore se non investendo nei giovani futuribili? E come può investire in giovani autoctoni (almeno in attesa che le semine in loco diano i propri frutti) in un Paese a così bassa produttività tale da far innalzare vertiginosamente i costi di ogni baby talento sin dalle prime discrete qualità dimostrate? Semplicemente, non potendo economicamente competere entro i confini nazionali, è costretto a fare scouting in giro per il globo.

Ma questo Gravina lo sa benissimo, e sa anche che riconoscerlo pubblicamente vorrebbe dire richiamare sé stesso e chi lo circonda a responsabilità chiare e gravi. Quelle, tipiche della politica del Belpaese, di chi cerca di raccogliere quanto più possibile e subito senza ragionare in prospettiva e/o per l’effettivo benessere della collettività. Predicare bene e razzolare male, o addirittura spostare l’attenzione verso nemici esterni tipico dei sistemi totalitaristici. Invochiamo un sistema democratico e sostenibile, parliamo ed agiamo a favorire le oligarchie. Un problema economico e sociologico prima che calcistico, ma che nello sport più specchio della collettività che esista al mondo ci sguazza benissimo.

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