Eusebio Di Francesco ha preso la parola dopo l’introduzione di Pantaleo Corvino e subito esposto un pensiero toccante: “Ringrazio il direttore e la società per l’opportunità. Io sono fiero anche per il mio passato a Lecce. Sono venuto qui con il mio nuovo staff tra cui Pinzi, Del Rosso e Neri, che vive qui a Lecce. Mi manca qualcosa. Il mio pensiero va a Graziano Fiorita, un amico che ci mancherà. Noi lotteremo per raggiungere la salvezza insieme a lui che ci guiderà dall’alto. Ci tenevo a ringraziare Pierluigi Iervese, grande professionista leale che ha scelto ora di intraprendere una strada da solo”.
Il 55enne ricorda subito il suo passato, quando arrivò a Lecce nel 2012 da giovane rampante dal Pescara. Il Lecce allora era in autogestione con il ds Carlo Osti. Oggi, l’allenatore arriva nel Salento dopo la retrocessione col Venezia che avrebbe voluto trattenerlo: “Devo dire che c’è una società e una situazione totalmente differente, la società si stava smantellando all’epoca, avevamo tanti prestiti e c’era un’atmosfera strana, io ero inesperto e un po’ ho subito. Avemmo prestazioni importanti, la prestazione a Bologna e la partita misteriosa contro il Milan. Ci sono stati alti e bassi in quell’esperienza. Ho scelto questa strada perché sono convinto che Lecce è il posto giusto nel momento giusto. L’obiettivo è la salvezza. A voi piace parlare di numeri. Risposerò a differenza dell’anno passato il 4-3-3, partiremo da questo sistema di gioco”
L’allenatore torna a parlare dei campionati conclusi con la retrocessione all’ultima giornata alla guida di Frosinone e Venezia: “Io dico che il passato è un grande contenitore di esperienze sotto tutti i punti di vista. Con il Frosinone avremmo meritato miglior sorte, l’anno scorso potevamo fare meglio. Il calcio è un po’ beffardo, palo dentro e palo fuori. Venezia-Lecce all’andata è il simbolo, nel calcio ci vogliono tanti aspetti e mi auguro di trovarli in questo contesto”.
DiFra costruirà un roster in cui i legami tra gli esterni saranno importantissimi: “Il direttore sa bene quello che intendo io. Ci troviamo d’accordo in tante scelte. Le caratteristiche dei giocatori fanno la differenza al di là del sistema di gioco. Faccio un esempio, Danilo Veiga e Gallo sono predisposti alla fase offensiva. Cerchiamo di mettere in campo delle coppie differenti per poter avere accoppiamenti per partire o cambiare in corsa determinati giocatori con determinate caratteristiche”.
Di Francesco parla delle partite vissute da avversario a Lecce e, menzionando Banda tra gli elementi che proverà a rilanciare dopo gli apprezzamenti per Krstovic, descrive i tratti dei suoi esterni offensivi: “Krstovic ha dimostrato di essere un ottimo attaccante, ma nel Lecce ci sono dei ragazzi e dei giovani interessanti. Giocatori che anche devono trovare lo smalto del primo anno, ad esempio Banda, giocava il primo anno spesso al posto di mio figlio. Bisogna lavorare sotto l’aspetto mentale, i ragazzi devono trovare fiducia. Se parliamo delle ali devono saper fare l’uno contro uno, questo è il primo pensiero. Lo dimostrano le squadre europee che dominano, ci sono giocatori bravi che sanno superare l’uomo e creano superiorità numerica”.
Il 55enne continua: “Se devo essere sincero non ho approcciato pensando a quello che voglio cambiare, io porto avanti il mio pensiero. Non è giusto parlare di chi c’era prima. Il direttore mi ha convinto, c’era una storia dietro che si lega alla Fiorentina. Le mie idee non sono solo calcio offensivo, bisogna difendere e attaccare con la stessa qualità. Poi ci sono accorgimenti che sono propri di un allenatore. Ogni allenatore pensa a suo modo ed è bello così. E’ giusto che io porti a Lecce quello che sento per raggiungere l’obiettivo della salvezza”.
Di Francesco non è stato assolutamente “frenato” dal suo passato nel 2012/2013: “Non ci sono stati motivi che mi hanno fatto riflettere. Io sono tornato spessissimo a Lecce come ospite. Al di là del risultato finale non raggiunto credo che è stato il destino. A volte mi consulto con Massimo Neri, lui mi ha detto immediatamente una cosa che mi ha fatto pensare per accettare quest’occasione”
Di Francesco risponde alla domanda sull’applicazione della costruzione dal basso e sull’intercambiabilità del suo 4-3-3: “Si può avere un sistema di gioco, difendere in un modo o in un altro in base a chi affronti. E’ il calcio moderno. Partire dal basso? L’argomento mi infastidisce a volte, ognuno la interpreta come vuole. Iniziare dal basso in base a come ti prendono serve a fare gol, attiri la squadra per fare male. L’obiettivo finale non è far vedere che palleggiamo ma fare gol e lo faremo in base a chi affrontiamo. Sono gli altri che determinano la tua costruzione, non tu”.
Il pescarese si distanzia dai paragoni con i “sergenti di ferro” del passato Bolchi, Mazzone e Zeman in tempi che ormai cambiano: “Noi dobbiamo essere noi stessi, non devo dimostrare qui autorevolezza o autorità. I ragazzi di una volta sono differenti da quelli di oggi, bisogna avere approcci diversi oggi rispetto a 15 anni fa. Sicuramente so quello che voglio da loro, so quando c’è da dare una carezza e quando usare carota e bastone. Tutti abbiamo bisogno di dialogo e condivisione di quello che si fa e perché lo si fa senza rigidità. Non esiste solo questo metodo”.
Le reazioni della piazza ai momenti di difficoltà saranno ben diverse rispetto alle matricole Frosinone e Venezia. Di Francesco lo sa: “Da avversario dico che venire a giocare a Lecce non è facile, per attaccamento e numero di abbonati e calore. Dell’attaccamento fa parte anche la critica, la capacità di sostenere. Sta a noi portare i tifosi dalla nostra parte con l’atteggiamento, il risultato da ottenere insieme. L’aspetto tecnico lo cureremo costantemente per migliorare e dobbiamo fare più gol. A Venezia abbiamo creato tanto. I tiri da 40-50 metri non sono tiri, quelli che Zeman chiamava tiri della disperazione. Si deve parlare di palle-gol reali, è lì che si vede la differenza”.
Il discorso si sposta poi sulla tattica, a partire dalla figura del regista, focale nel 4-3-3: “Devo dire che Pierret per me è un regista, un giocatore che ha fisicità, corsa, tecnica. Il direttore prima ha parlato della verticalizzazione. Il regista deve saper muovere palla in verticale e tra le linee. E’ normale che se contro ti aspettano non va buttata giù la palla e bisogna saper aggirare la difesa avversaria. Il nostro registra deve saper difendere, avere impatto fisico e dialogare con i compagni”.
E ai lati del play, ci sono le mezzali: “La mezzala deve essere anche un po’ un trequartista, magari si opera in modo differente e bisogna giocare in fase difensiva col 4-2-3-1. Il calcio è dinamico. Le posizioni variano e spesso si difende a tre, le dinamiche di calcio sono tantissime e non c’è mai staticità. Sorrido quando torno in un posto in cui sono stato, poi le partite cambiano l’umore ed è normale. La forza nostra deve essere l’equilibrio e non solo dal punto di vista degli atteggiamenti, ma di squadra. Ci deve essere equilibrio, saper soffrire, difendere e sapere quando attaccare”.
Nel roster c’è anche Kaba alla ricerca di rilancio: “E’ normale che serve tempo dopo un grave infortunio come quello al crociato. Entri a campionato in corso quando gli altri hanno condizione. Per me è una mezzala di spinta, ha forza nei tackle e posso creare degli abbinamenti con lui dall’inizio e a partita in corso. Oggi non ci sono 11 titolari, ma 22 giocatori da usare con 5 cambi per sfruttare al meglio tutte le potenzialità”.