L’ex calciatore e bandiera dell’Inter, personaggio anche fuori dal campo, dice la sua, in questa intervista esclusiva, sul calcio giocato e sull’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro paese.
LO STOP E’ ARRIVATO TARDI. “Bisognava fermare il campionato prima, evitare le trasferte delle squadre. Non era tanto difficile ipotizzare che il virus potesse raggiungere anche i calciatori. Impossibile pensare di non abbracciarsi dopo un gol. Quando l’azione si conclude con un gol è normale che i compagni ti festeggino. Il calcio è uno sport di contatto, di contrasti, di giocatori in barriere e di mischia in area. E i calciatori si sono contagiati”.
COSA POSSONO FARE I CALCIATORI. “I giocatori potrebbero fare una cosa molto bella in questo momento, devolvendo il cinque per cento del loro stipendio alla ricerca e agli ospedali. Quando giocavo lo facemmo in diversi per l’alluvione di Firenze nel 1966. Sarebbe un gesto importante e, in fondo, l’intenzione giusta per fare qualcosa di molto bello. Poi magari qualcuno l’ha già fatto e non lo fa sapere”.
OCCASIONE GIUSTA. “I calciatori spesso sono catalogati come superficiali o mercenari, in questo frangente hanno l’occasione di dimostrare che non è vero, mettendosi al servizio della collettività. In Serie A guadagnano molto e il 5% dello stipendio contro il Coronavirus non dovrebbe costituire un grosso sacrificio e, soprattutto, sarebbe una scelta intelligente”.
AUTOISOLAMENTO. “Sembra tutto surreale, un Paese bloccato, silenzioso e rallentato. Non ero abituato né preparato, mi toglie il fiato. Ciò che mi colpisce è il fatto che quando esco da casa per fare una passeggiata c’è il deserto totale”.
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