
L’attaccante di cui tanto bene si parlava in Europa arrivò per risollevare le sorti, disperate o quasi, di una squadra già con un piede in Serie B.
Quella 1997/98 è passata alla storia come una delle peggiori stagioni del Lecce in Serie A. A causa di un pessimo avvio e di un invernata ancora peggiore, i giallorossi furono quasi da subito fuori dal discorso salvezza, con un piede presto in Serie B. Eppure a fine autunno una speranza proveniente dall’est Europa sembrò poter rimettere in corsa i giallorossi. Una speranza che rispondeva al nome di Sergiy Atelkin.
Il classe 1972 ucraino era ai tempi la stella dell’attacco dello Shakhtar Donetsk, club della sua città natale pronto a contendere la supremazia nazionale alla Dynamo Kiev e lanciarsi nel calcio internazionale. Proprio in una gara europea, quella di Coppa delle Coppe contro il Vicenza, il tecnico del Lecce Claudio Prandelli lo notò e se ne innamorò, convincendo il club salentino a mettere nero su bianco.
La società della famiglia Semeraro anticipò la concorrenza di mezza Europa, pronta ad accaparrarsi il promettente attaccante capace di siglare 22 gol nell’ultimo anno e mezzo in Ucraina. Annunciato come quel cecchino di cui il Lecce tanto aveva bisogno, cercò di allontanare i timori relativi ai problemi di comunicazione a causa delle divergenze linguistiche che si sarebbero potute creare.
“I compagni non si preoccupino, avranno poco da parlare con me: buttino il pallone avanti, il resto verrà quasi naturale”. Parole sicure ed entusiaste che riaccesero gli animi sopiti e non troppo speranzosi della tifoseria giallorossa. Parole alle quali, però, non seguirono fatti particolarmente esaltanti. Il bilancio collettivo delle prime 9 gare giocate da Atelkin con il Lecce fu traumatico: 8 ko, un pareggio ed un solo, inutile, gol nell’1-3 con la Roma.
Meglio l’ucraino fece a fine campionato, con due gol, a Napoli e Bologna, che portarono 4 punti in dote. Centri che, così come le prestazioni grossomodo in crescendo, furono inutili per un Lecce già retrocesso a inizio girone di ritorno. E non andò meglio, tutt’altro, l’inizio di stagione seguente. Tant’è che, dopo i quattro match di Coppa Italia con Monza e Piacenza, la società lo diede in prestito ai portoghesi del Boavista.
In riva al fiume Duero, così come nelle stagioni successivi, al ritorno a Donetsk, Atelkin ritrovò sé stesso. Media gol di tutto rispetto, con un centro ogni tre gare circa, campionati di vertice e partecipazioni alle coppe europee. Compresa la Champions League, vissuta da punta di riserva in arancio-nero. Nuove esperienze che aumentarono i dubbi salentini: Atelkin fu un bidone o un buon giocatore arrivato nel peggior momento a Lecce? Gli indizi derivati dalla sua carriera sembrano far propendere l’ago verso la seconda ipotesi.
