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(Uno strano) calcio per “provare” a ricominciare

La notizia era nell’aria, ma, dopo mesi di contrasti dialettici, si passa al campo. La Serie A riprenderà il via il 20 giugno, tre mesi e mezzo dopo l’ultimo turno disputato. Sarà un’azione sì inedita, sì piena di complicanze, ma dolorosamente necessaria per il sistema, e non solo.

Nella serata di oggi si sono azzerate definitivamente le distanza tra il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora e il mondo calcio. La riunione odierna tra il capo del dicastero e il premier Giuseppe Conte ha ratificato le azioni programmatiche disegnate dalla FIGC, orientata verso la ripresa dei giochi. Non manca però senza la previsione di piani di riserva in caso di impossibilità di concludere il calendario, che oggi sarà discusso a Roma. Si sapeva e in pochi si sono stupiti. Fin qua ci siamo.

A ventiquattro giorni dall’inizio della Fase 2, stiamo vivendo una “prova” di vita normale dopo la prolungata quarantena e le tante sofferenze vissute nel periodo più difficile della nostra storia dal dopoguerra, e non solo per motivi sanitari.

E della prova di vita normale, diciamocelo, fa parte anche il calcio. Senza pubblico non sarà vero calcio, non scalderà appieno i nostri cuori come prima, e sarà così per molto, ma da qualcosa bisogna ripartire per provare a riprenderci la nostra quotidianità, la nostra vita.

E la notizia della ripresa del massimo campionato assolve appunto a questo principio. Noi tutti, o quasi, siamo tornati al lavoro con tante complicanze, con tante complicanze godiamo delle bellezze della nostra terra e con tante complicanze ci riavvicineremo a una passione, che unisce al di là del risultato. Con il magone nel cuore, e qualcuno con un prevedibile distacco, rivedremo il pallone rotolare sul rettangolo verde e, noi nello specifico, rivedremo in campo undici maglie giallorosse.

Sarà una prova di quotidianità che vivremo con stranezza, senza pubblico e senza neanche tanta voglia di esultare, ma, cinicamente, da qualcosa il sistema calcio deve ripartire. Non stiamo a sciorinare i numeri di fatturato perso e le componenti che fanno del football una delle top10 industrie italiane, ma tanti lavoratori, più i meno nobili di quelli sotto i riflettori, hanno il diritto di ripartire.

E’ un bene che riparta il calcio? Per ragioni economiche sì, e lo abbiamo spiegato. Un sistema deve provare a mantenersi, cogliendo l’occasione per fare delle riforme finanziarie ed etiche. Per ragioni tecniche, anche. Con la sospensione dei campionati si sarebbe creato un tourbillon di ricorsi, di interessi poco decoubertiniani, che già riempiono normalmente pagine di quotidiani sportivi. La sopravvivenza del senso sportivo sarebbe minata. Dall’altra parte, come anche abbiamo titolato, sappiamo che non sarà il solito calcio, tra tour de force, nuove regole e, di fatto, lo start  di un altro mini torneo dopo mesi di stop. Cosa mai successa in quasi un secolo e mezzo.

E poi, mettiamo dentro anche una ragione sentimentale, seppur non piena. E’ vero, siamo lontani dalla quotidianità, siamo lontani dal poter, noi, scendere in campo per manifestare il nostro amore per il gioco più bello del mondo, ma il ritorno del calcio, e delle sue immortali polemiche, sarà un tassello ulteriore…di questa “prova di quotidianità”.

Non sarà il calcio che conosciamo, e non solo per l’orrendo patema delle porte chiuse fino a data da destinarsi. Partite ogni tre giorni e cinque cambi a gara, per non parlare poi dell’ipotesi playoff-playout in caso d’impossibilità a concludere, non fanno parte del campionato che abbiamo commentato e che vorremmo commentare.

In un’ideale polarizzazione tra l’entusiasmo fulminante per la ripresa e la ferma opposizione al ritorno delle gare, facendo un bagno di molta razionalità ( e torniamo sempre al sunto della parte iniziale sul nostro parziale ritorno alla vita “normale) ci posizioniamo poco dopo la mediana verso la positività. La vita doveva ripartire, e il calcio, quello che amiamo, era, è e sarà sempre un motivo per sorridere, aggregarci e essere positivi.

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