Il tecnico boemo, passato anche dal Lecce nella sua carriera, inaugura una rubrica sulla Rosea dove, con cadenza settimanale, si scandaglierà l’alfabeto del calcio.
Zdenek Zeman spiega il calcio e lo fa, come in un dizionario, partendo dall’alfabeto. L’inizio è di quelli forti. Zeman ha iniziato il suo viaggio penna alla mano partendo dalla parola che più spaventa tutti in questo periodo: Covid.
“Un giorno quando faremo i conti, speriamo definitivi, delle vittime del Covid, dovremo aggiungerne una, che non è fatta di carne ed ossa, ma è una parte di ognuno di noi. E si chiama passione. Passione per quello che più amiamo e che la pandemia, il lockdown, la reclusione in casa e il distanziamento ci hanno impedito di vivere liberamente. Saremo in grado di riconquistarla, di tornare al punto di partenza? Di mandare indietro il nastro e ricominciare tutto come prima? E’ passato un anno da quando la parola Coronavirus si è affacciata nelle nostre vite, cambiandole. Un anno di sofferenza, paura, lacrime e problemi. Il mondo sta vivendo sotto una cappa e quello dello sport non è stato immune. Anzi credo sia stato tra le attività più penalizzate. Perché cosa più dello sport vive di passione? Ho sempre interpretato il calcio come un incredibile generatore di emozioni e di passioni, e il mio obiettivo principale da tecnico è stato sempre quello di divertire e regalare gioia a chi veniva a vedere la partita, cercando il risultato sempre attraverso lo spettacolo e il rispetto delle regole”.
E poi: “Temo che un anno per i ragazzi, dai campetti minori ai settori giovanili alle scuole calcio, senza poter giocare, allenarsi, vivere il pallone come momento di condivisione abbia portato tantissimi giovani a trovare altri hobby e passatempi. A chiudersi magari davanti a computer e cellulare, a vivere relazioni digitali. Un problema di cui forse pagheremo il conto in futuro in Italia e all’estero, con un calo consistente della partecipazione giovanile. Il campionato che stiamo vivendo quest’anno non può definirsi falsato, ma di certo è fortemente condizionato dalla pandemia. Così come condizionati devono essere i giudizi. Applausi e meriti a chi è riuscito tra grandi difficoltà a trovare un equilibrio, una costanza e una concretezza, ma chi non c’è riuscito ha di certo molti alibi. Difficile giudicare in modo netto e criticare in modo circostanziato. Società, allenatori e giocatori, tutti sono stati frenati. Non è facile vivere una stagione così: tra controlli continui, casi Covid che tolgono la disponibilità degli atleti da un momento all’altro e creano disagi, tensioni, distrazioni, preoccupazioni. Pensate come sia preparare una gara quando il giorno prima hai avuto uno o due casi, scatta l’allarme, si devono tamponare tutti, crescono le paure di chi teme di aver contratto il virus o aver contagiato i propri familiari. I tecnici sono spesso costretti a fare anche gli psicologi. I giocatori hanno timori anche perché magari non tutti i compagni si comportano nella stessa maniera e con la stessa professionalità”
Qui l’intero articolo scritto dal boemo