Il club giallorosso apre le sue porte alla stampa leccese. Ecco il racconto di una mattinata trascorsa presso la struttura che ospita il club di via Costadura.

Ore 9.30: puntuali come mai lo siamo stati nei 21 anni trascorsi dall’asilo all’università, ci rechiamo presso l’Acaya Golf Resort, la struttura che ormai da diverso tempo ospita il Lecce ma che, soprattutto negli ultimi tempi, ha rafforzato il legame con il club giallorosso. Diventando, di fatto, un centro sportivo con i fiocchi che ogni neo giallorosso apprezza al suo arrivo nel Salento. Ed oggi, più che mai, ce ne siamo resi conto.

Il nostro arrivo è coinciso con l’inizio dei lavori del gruppo giallorosso, giunto sul campo principale dell’impianto, quello in erba naturale (la cui tenuta fa invidia ad un terzo dei terreni di gioco di Serie A) per approcciare la seduta con il classico lavoro atletico. Qualche scatto e foto buoni per l’archivio, poi seduti e zitti ad ascoltare il mister, che dopo mezz’oretta circa ha fatto spostare i suoi al centro del campo, dove si è passati al lavoro tecnico-tattico.

Una sola porta, uno spazio ristretto rispetto all’intero campo e due formazioni schierate a specchio e divise per fasi, una difensiva ed offensiva, con l’obiettivo dichiarato ad inizio esercizio “sviluppiamo il gioco sulle fasce e cerchiamo il gioco sul pivot”. Pivot che è Pablo Rodriguez, costantemente incoraggiato ed applaudito da Baroni, anche perché Massimo Coda non c’è. Dopo la parte atletica, infatti, si è separato dai compagni per svolgere una seduta differenziata e cure fisioterapiche con Alessandro Tuia, altro elemento con qualche acciacco e necessitante di cure.

A metà allenamento abbiamo salutato il campo 1 e con esso lasciato i giallorossi più “liberi” di proseguire con il lavoro, per spostarci sul campo 2. Un altro mini-impianto in erba naturato, grande all’incirca un terzo di un campo normale, nel quale i giallorossi sono soliti svolgere la parte atletica soprattutto quando ambedue i terreni sono appesantiti dalla pioggia, con la finalità di non compromettere eccessivamente la tenuta di uno o l’altro svolgendovi l’intera sessione. Uno sguardo al panorama mozzafiato che si apre sui campi da golf con annessi laghetti. “Qui ci sono anche le trote del direttore”, ci confida il presidente Sticchi Damiani, che ci accompagna nella visita assieme al team manager Claudio Vino.

Da lì ci si sposta poi al piano interrato, dove vi è dapprima il magazzino. Subito dopo ecco la clinica allestita dal Lecce nella struttura, vero e proprio reparto con macchinari nuovi ed all’avanguardia per massaggi e fisioterapie. Qui ritroviamo Tuia e Coda, impegnati sui lettini con terapie di diverso tipo, subito prima di passare agli spogliatoi. Una locker room diversa dal solito, perché si sta tutti insieme per fare gruppo, compresi i Primavera che talvolta vengono aggregati alla squadra: peculiarità di non poco conto, difficile da incontrare nel calcio professionistico.

E’ la volta delle palestre: due ed ampie, una per i portieri ed una per il resto della squadra. Anche qui strutture ad esclusivo appannaggio dell’US Lecce, frutto degli accordi con i gestori dell’impianto con i quali il club ha rafforzato i rapporti potendo godere, da ottobre-novembre a maggio, dell’utilizzo pressoché esclusivo del centro. “Che siano giovani italiani e stranieri o elementi navigati che hanno giocato la Champions come ad esempio Maggio, tutti rimangono piacevolmente meravigliati del fatto che il Lecce possa contare su una struttura del genere”, ci confida Sticchi.

Il tempo è volato, i giocatori sono già a pranzo nella sala ristorante e, dopo una sguardo all’ufficio di mister Baroni e del suo staff, è tempo di saluti. Parola al direttore Corvino: “Ci tenevamo a questo incontro perché vogliamo sempre più che la stampa, e dunque i nostri tifosi, tocchino con mano gli sforzi che la nostra proprietà fa per crescere, per migliorarsi e per portare avanti un progetto che consenta al Lecce di consolidarsi come realtà importante nel panorama nazionale. Ed avere, magari, anche la giusta percezione del punto a cui siamo ora”.