Il cammino difficile e coerente di un Lecce che, ancora una volta, ha portato in alto una terra in cui nulla può essere scontato e tutto va guadagnato
Probabilmente passerà qualche anno perché noi tutti, salentini vicini e lontani dalla nostra terra, innamorati della maglia del Lecce o anche solo semplici appassionati, ci rendiamo conto dell’impresa compiuta quest’anno dai Lupi giallorossi. Un risultato sportivo importante, per nulla scontato perché arrivato in un Serie A che no, non è il top campionato degli anni ottanta, ma che sta dando qualche neppur troppo timido segnale di risveglio, coppe europee docent. Ed anche perché, a costo di essere noiosi, giunto dopo essersi misurati con club che hanno preferito (quest’anno ma non solo) “rischiare” indebitandosi nemmeno così poco, mettendo a rischio una prosecuzione della tradizione sportiva che (concetto mai abbastanza rimarcato) vale ben più di 3-4 stagioni in più o in meno nel massimo campionato.
Proviamoci, lottiamo, sogniamo, ma a modo nostro. Con un concetto di fare calcio che, per chi non ha un pozzo petrolifero a cui accingere, diventerà presto l’unico se non si vuole avere la giustizia sportiva (giustamente) sempre alle calcagna. Conti in regola ed avanti cercando di sorprendere, di cogliere l’avversario alle spalle con qualche giovane scandinavo che giri poi lo stivale dominando centrocampi, con qualche sconosciuto stantuffo francese pronto ad esibirsi in versione TGV o ancora con francesi di altro tipo, di quelli noti ad ogni latitudine ma troppo presto etichettati come stagionati. E non nel senso positivo del termine che si addirebbe invece ad un buono Château Margaux del 1787, ma al contrario di andato, non più utilizzabile.
E invece il campo ha detto intanto che il Lecce era squadra di Serie A, nel senso capace di misurarsi a testa alta contro chiunque, ovunque. E questo lo si era capito che non era nemmeno ferragosto, in quella serata contro i futuri finalisti UCL che, zeppi di campioni, avevano avuto bisogno di un guizzo a tempo scaduto per avere la meglio di un undici a dir poco in costruzione, eppure già convinto e frizzante. Tanto da far pensare ad un’illusoria metà classifica la sua gente ed anche sé stesso, in un peccato di gioventù perdonabile per chi giovane lo è davvero, non per i malandati parametri italiani, bensì europei. Roba da top 5.
E negli ultimi 5 posti l’undici del condottiero Baroni è sprofondato perché forse era giusto così, perché era uno step necessario a costo di superarlo brillantemente. E così è stato, perché tenersene quattro alle spalle senza mai scendere nella zona rossa è impresa non da poco per una squadra e per un club con le caratteristiche dei salentini. Il periodo del freddo è passato e non va né negato né dimenticato, importante come sarà per crescere nei singoli e nella gestione futura. E poi però fu maggio, il mese in cui la primavera esplode mettendosi definitivamente l’inverno alle spalle. Così è stato anche per un Lecce che ha barcollato, ha lottato, ne è uscito vincitore. Ancora una volta lì, a festeggiare ed a rendere orgogliosa una terra in cui, piaccia o meno, nulla è scontato e tutto va guadagnato.
doppia soddisfazione per chi ci ha sempre creduto. Domenica i contestatori abbiano quel briciolo di dignità di stare a casa
Avanti Salento 💛❤
cambi il nome, ma mai la cantina. Devi dire all’oste di non darti mieru fiaccu
tu invece sei il solito psicopatico travestito zodiaco