“Qualcosa non torna. E bene sarebbe se lo facesse il più tardi possibile, anche mai. Restasse lassù, tra le nuvole e la zona Europa, il Lecce. E’ un’anomalia italiana. Una di quelle che si giudicano inspiegabili e si pronosticano, con soddisfatto cinismo, effimere. Non ha una proprietà munifica, riceve le briciole dei diritti televisivi, ha i conti in pareggio. Ha venduto il capitano, investito in giovani caricati (Faticanti, Piccoli) e non più giovani scaricati (Sansone, Venuti). Sostituito un allenatore emergente (Baroni) con uno affondato (D’Aversa). Il prodotto non è cambiato, anzi sembra migliorato. L’età media della rosa è la più bassa della Serie A e al ritiro estivo hanno partecipato i giovani della Primavera, campioni d’Italia. Loro hanno invece l’età media più alta per essere pronti alla prima squadra. Sono tutti stranieri. Non lo sappiano i governanti attuali e i loro sostenitori”. Così Gabriele Romagnoli descrive il Lecce.

Lo scrittore conclude poi ricordando un episodio personale: “A inizio estate ero all’Università del Salento per un Ted organizzato dagli studenti. Come da copione avevano invitato sul palco per i 15 minuti d’intervento un manipolo d’innovatori: transgender, europeisti, essenzialisti. E il presidente del Lecce, Saverio Sticchi Damiani. Questo che c’entra, pensai prima che iniziasse a parlare. Poi spiegò come una cosa nuova la sua idea di società calcistica, dove la parola chiave era società e non calcistica. Raccontò di giocatori che si facevano vedere in città, partecipavano agli eventi pubblici anche a scapito di qualche minuto di spogliatoio, di coesione tra tifoseria e atleti, quali che fossero“.

E infine il paragone: “Ho visto il pubblico di Miami lasciare lo stadio perché usciva Messi, quello di Lecce esaltarsi perché entrava Dorgu”.