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CdS – Liverani: “Io, la Lazio e il Lecce. All’inizio volevo rifiutare…”

Giornata particolare del tecnico Fabio Liverani ospite della redazione del Corriere dello Sport dove è stato protagonista di una lunga e approfondita intervista.

PARTITA SPECIALE. “Si, È stata casa mia per cinque anni, tra i 25 e i 30, nel momento più importante della carriera, un top club. Ho avuto tanti ricordi, le persone, tanti momenti vissuti insieme. Tornare a casa è bello”.

IMPOSIZIONE NONOSTANTE IL TIFO. Quegli anni erano più difficili di adesso, il tifo era presente e la rivalità cittadina qualcosa di insuperabile. I primi due anni, fuori dal campo, si rivelarono duri. Ho avuto la fortuna di avere grandi uomini al mio fianco. Roma è la mia città. Sapevo, oltre che con il comportamento, che la professionalità avrebbe vinto la difficoltà iniziale. Dal terzo anno in poi è stato un crescendo, ebbi sintonia con la piazza, senso di appartenenza, alla Lazio ho finito da capitano. Questa è stata, nella carriera calcistica, una delle mie vittorie più belle”.

FUTURO ROMANO IN PANCHINA. Spero di poter allenare a prescindere dal passato, credo di aver dimostrato, in ogni posto in cui ho lavorato, di aver rispettato i colori. La professionalità è il biglietto da visita più importante. Spero di essere scelto per quello che faccio sul campo e non per cose esterne”.

LA COPPA ITALIA. Ero arrivato nel 2001, alcune difficoltà già si intuivano. Tre anni dopo, il Piano Baraldi servì per dare continuità alla società. Quella vicenda unì la squadra per poterla farla sopravvivere. Era l’ultimo anno. Sapevamo, mentre stavamo giocando, che sarebbe finito un ciclo. Certi campioni dovevano andare via, volevamo concludere vincendo un trofeo. Un mese e mezzo dopo la finale di Coppa Italia a Torino non fu facile ripartire. Un trauma. Rimanemmo in quattro o cinque. Io, Oddo, Peruzzi, Giannichedda e Zauri. Poi ne venimmo fuori. La stagione successiva, con Rossi, riuscimmo ad avviare un nuovo ciclo centrando il piazzamento Uefa”.

I DERBY E IL GOL DI DE CANIO. Coincisero tante cose, il ritorno di Paolo e il suo gol sotto la Sud. Come un film già scritto. Sulla carta, se rigiochiamo dieci volte quella partita nove volte la perdiamo. Una formazione mai più ripetibile. Oddo, Giannichedda, Talamonti, Emanuele Filippini in difesa. Poi Antonio Filippini, Dabo e Cesar. Davanti Rocchi e Di Canio. Contro Totti, Cassano e gli altri. Un 6 gennaio perfetto. Noi eravamo morti, venivamo da Udine, dove toccammo il fondo. Sono le storie belle del calcio. Fu una partita straordinaria. Ricordo l’assist a Di Canto, ma anche il secondo per il 3-1 di Rocchi con una palla morbida a scavalcare”.

LA LAZIO RESTA DENTRO? “Credo di si. Passionalità rara, poi dipende dal periodo e quanto stai dentro una società così piena di storia. Cinque anni sono un pezzo di carriera, non si possono cancellare. Ti leghi al magazziniere, al guardiano, al giardiniere”.

L’ADDIO. E’ stato molto duro, nella mia carriera è stata l’unica trattativa così lunga. Di solito ci metto dieci minuti, quella durò sei sette mesi. Il momento non era quello giusto per capirsi. Più che economicamente era una questione di stima reciproca. In quel periodo venivi valutato per tutto quello che era successo prima. C’era difficoltà con chi aveva fatto contratti prima, anche di colloquio”.

LA DELUSIONE DI LOTITO. Un malinteso. C’è stato un momento in cui volevo restare, alla fine avevo detto di si, ma la notte feci veramente fatica a dormire. Penso siano stati dei momenti a non farci trovare, il primo momento del presidente e il momento mio. Quello non ci ha fatto trovare. E’ dipeso molto più dal rapporto personale che da quello economico”. 

PERUZZI. Credo che quella sia stata una grandissima vittoria per la Lazio. Anche con Angelo, venendo dalla gestione precedente, un pochino aveva faticato a trovare una soluzione. La qualità del lavoro, la costruzione, bisogna dare atto al presidente. Negli anni ho rivalutato Angelo come persona, non parlo neanche dal calciatore. Credo che sia uno degli uomini più carisma e personalità e attaccamento che abbia conosciuto. Un leader vero, da cui ho preso tanto in quei cinque anni di Lazio. Lo ringrazio ancora, mi ha tracciato la strada. Ci abbracceremo all’Olimpico. Angelo puoi anche non sentirlo per uno o due anni, ma la fatto e pastina sono quelle del primo giorno”.

INZAGHI. Abbiamo fatto i corsi insieme quando allenava nel settore giovanile. Il percorso era programmato, aspettava l’opportunità, se l’è cercato e meritato, ora sta raccogliendo i frutti”.

RIPARTENZA. “C’è stato un momento di difficoltà, l’opportunità tardava a ritornare, credo che la Ternana sia stata la mia ripartenza. Era finita, penso. La chiamata arrivò in una domenica di marzo, erano già cambiati tre allenatori, ultimi in classifica a 23 punti. Mi aveva chiamato Mirabelli, realizzammo qualcosa di straordinario, 26 punti in 12 partite, più della Spal che vince il campionato. Il calcio è bello e spietato. L’esperienza di Terni mi restituì grande entusiasmo”.

LECCE. La chiamata fu a settembre. Al primo incontro con il presidente Sticchi Damiani non scattò la scintilla. Non ero convinto, forse neanche loro. La sera mi richiamò Alessandro Moggi dicendomi che il presidente voleva incontrarmi di nuovo. Il giorno dopo, io e lui da soli, parlammo poco di calcio e molto di tutto il resto. Era scattato qualcosa. Uscito da quell’incontro diedi la mia disponibilità. E’ stato uno dei percorsi più belli e insperati che potessi immaginare, dalla Lega Pro all’Olimpico con la Lazio, nel giro di due anni. Aver riportato una città e una piazza, dopo sei sette anni di inverno della Serie C, al calcio più importante è qualcosa che mi rende orgoglioso”.

DOPPIA PROMOZIONE. Quando sono arrivato la squadra era forte per la Serie C. Gruppo eccezionale, disponibile dal primo giorno. Nel girone C le trasferte sono un bagno di sangue, dipende se le fai da professionista o dilettante. Ci sono 5-6 partite in Sicilia, diventa impensabile andarci in pullman. Quando ho spiegato cosa era importante  per vincere, la società si è fatta trovare pronta. Fare le trasferte in aereo, cambia. Anche il giocatore può avere meno alibi. I campi sono caldi, l’ambiente, le partite. Al nord, al contrario, c’è un altro tipo di mentalità. Due anni fa, con la regola degli under e degli over, nell’arco della stagione contava la fortuna. Oggi si può già programmare”.

LA SERIE B. Dopo la promozione è stata fatta una scelta precisa, prendendo 14-15 giocatori nuovi. Non è mai facile cambiare tanto. Sono stati bravi i vecchi e siamo ripartiti con un lavoro graduale. La squadra è cresciuta, eravamo quarti- quinti alla fine del giorno d’andata. In quel momento con la società abbiamo deciso di puntellare pensando ai play off. La magia è scattata a marzo vincendo tre partite in una settimana, la squadra ha avuto la percezione di poter attaccare i primi due posti. Qualcosa di impensabile era diventato concreto”.

LA SERIE A. L’obiettivo comune con i dirigenti è stato quello di costruire una squadra che potesse essere competitiva per la salvezza, sapendo di dover cercare giocatori senza costi esagerati, altrimenti ti mangi gli introiti e ti indebiti. Noi vogliamo provare in A cercando di essere economicamente a posto.”.

MEDIA SALVEZZA. Dobbiamo recuperare due tre giocatori, arrivati un po’ in ritardo di condizione o per infortuni, che pensavo ci aiutassero. La media è quella, i famosi 40 punti. Vogliamo chiudere l’andata tra i 17 e i 20, vedere il mercato cosa può offrire a gennaio e farne altrettanti in quello di ritorno. Ci mancano 2 punti nelle ultime quattro giornate”.

 

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vito
vito
4 anni fa

In alcuni tratti, l’articolo, è slegato dall’italiano. Incomprensibile.

Requenzino
Requenzino
4 anni fa

Ragazzi, rileggeteli gli articoli prima di pubblicarli, per quanti errori ci sono sembra che sia stato scritto da Antonio Cassano ubriaco

Alexp
Alexp
4 anni fa

Articolo pieno zeppo di errori…..parole sbagliate….frasi incompiute…….ma rileggete almeno prima di pubblicare.

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