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Di Maio a CL: “Un onore aver giocato a Lecce, nonostante l’epilogo. Oggi sogno ancora con San Marino”

41 anni e ancora tanta voglia di divertirsi e sognare nel mondo del calcio, anche a livello internazionale, ancora con gli scarpini ai piedi. Questo è Roberto Di Maio, difensore centrale napoletano di nascita e sammarinese di adozione con una piccola parte di cuore lasciata anche nel Salento in una stagione che a lui, come ai tifosi giallorossi, ha lasciato emozioni ma anche amarezza. Noi lo abbiamo sentito in esclusiva per parlare anche di quei momenti, ma non solo

Roberto Di Maio, trent’anni trascorsi sui campi di calcio di tutta Italia e non solo, 17 maglie di club vestite e una di Nazionale. Tra le tue avventure anche una stagione intensa in maglia Lecce: cos’è stato per te il club giallorosso?

“Per me è stato innanzitutto un grande, grandissimo onore aver vestito la maglia del Lecce. A prescindere da come è andata a livello di obiettivo finale, io ho sentito tutto il calore e la passione della piazza, e vi assicuro che un calciatore vive per queste cose in cui Lecce non è seconda a nessuno. Poi il rammarico per il traguardo di squadra fallito c’è, è indubbio”.

Quella è stata una stagione particolare, unica, sin dai suoi albori. Come avevi trovato un club che si è ritrovato in poco tempo dalla prima alla terza serie?

“Io arrivai in giallorosso a fatti compiuti, negli ultimi giorni di mercato, quando non solo la Lega Pro era ormai realtà ufficiale per il Lecce ma si erano anche giocate le primissime partite. Trovai un collettivo che si trovava a disputare la C con giocatori da squadra di Serie B ed anche d’alta Serie B. C’erano giocatori importanti, un bagaglio tecnico incredibile”.

Come descriveresti l’andamento di quell’assurdo campionato?

“Giocammo un girone d’andata strepitoso, con vittoria sul campo della futura promossa Trapani ed un +12 proprio sui siciliani che era emblematico delle nostro abilità e potenzialità. Poi, però, si sono combinate una serie di cose in più direzioni e quel vantaggio è stato dilapidato. Purtroppo in così tanti anni di carriera ho imparato che spesso quando ci sono tanti giocatori importanti insieme possono nascere dei problemi interni. Io venivo da una storia diversa, ero esperto in quella categoria e sapevo che per vincere serviva in primi un gruppo unito, che rema nella stessa direzione. Ad un tratto è mancata proprio quell’unità d’intenti”.

Quando si è rotto il giocattolo?

“Qualcosa è cambiata in campo dopo l’infortunio di Foti. Così, ai primi risultati negativi, anche se magari erano pareggi e non sconfitte, è crollato tutto. Personalmente sono rimasto allibito, non c’era più armonia nello spogliatoio, tra i giocatori, con il tecnico. Il mister di certo non era tra i più semplici, ma non ci sono colpevoli, è stato l’insieme. Non c’era quella coesione giusta per reagire alle prime difficoltà, arrivate le quali tutto è crollato. Davvero assurdo. Peccato, perché per me vincere con il Lecce sarebbe stata un’emozione incredibile ed anche forse una svolta nella mia carriera”.

Come avete vissuto i due esoneri e l’approdo ai playoff?

“Soprattutto il secondo esonero è stato complicato. A prescindere da ciò, vedere l’avvicendamento tra tre allenatori in un’annata è abbastanza raro. Il club ha voluto sostituire poi Toma con Gustinetti a ridosso degli spareggi per metterci più esperienza, ma è sempre difficile cambiare e trovarsi proprio in quei momenti. A livello personale, subii uno strappo muscolare in un’amichevole con il Copertino, l’ultima prima dell’inizio dei playoff dei quali sono quindi stato spettatore. E posso assicurare che vissuta da fuori è stata ancora peggio”.

Quel Lecce-Carpi fa ancora male, anche se poi per te come per i tifosi salentini sono arrivate tante soddisfazioni…

“E’ proprio vero. Mi metto nei panni dei tifosi, capisco appieno la frustrazione che provarono. Ti ritrovi in C senza essere retrocesso sul campo, con una squadra fatta per un terzo da giocatori che l’anno prima erano in Serie A, sei partito a mille e ti sei poi fatto rimontare così. Il tutto poi in una piazza calda. Capisco la rabbia finale, non mi è nuova avendo giocato in realtà calde del sud come Catanzaro e Nocera. Personalmente sono stato tra i pochi ad andare al campo e lavorare nei giorni dopo. Credo fosse rispettoso nei confronti dei tifosi, rimangono la parte più bella del calcio”.

Poi per te è arrivato l’addio ai colori giallorossi…

“Quando mi sono fatto male prima delle semifinali con la Virtus Entella, stupidamente ho accelerato con l’obiettivo di esserci in finale. Purtroppo ho peggiorato il tutto e l’infortunio è divenuto più grave, costringendomi a saltare il ritiro. Ricordo che mi recai comunque, ma di fatto non potevo allenarmi. Da lì, sentendomi con la società, siamo arrivati a decidere che la separazione sarebbe stata la scelta migliore. L’accordo era appunto quello di andar via senza fare troppi casini, cosa che non sarebbe stata giusta”.

Il Lecce ha continuato a soffrire per altre stagioni in Lega Pro, prima del doppio salto e dell’attuale corso che lo vede protagonista in Serie A. Ti aspettavi che il futuro giallorosso sarebbe stato così radioso?

“Sinceramente non avevo dubbi. Sapevo che il Lecce avrebbe trovato le persone giuste per la risalita perché la tifoseria e la città sono stupende. Il Lecce è una realtà di Serie A, poi degli anni può andar male e ti ritrovi in Serie B, ma questo club con la Lega Pro non c’entra proprio nulla”.

Che ne pensi dell’attuale cammino nel massimo campionato?

“Quest’anno la squadra sta facendo qualcosa di straordinario. La classifica attuale ti permette di stare anche un attimo sereno, non devi affrontare le partite sapendo di essere quasi costretto a vincere come quando sei giù. La vittoria con il Frosinone è stata importantissima, ma anche i pareggi ottenuti lo sono stati. Credo si stia lavorando al top sia come squadra che come società. Poi io seguo molto il calcio giovanile e sotto quell’aspetto si sta costruendo davvero qualcosa di importante. Ci sono idee chiare”.

Com’è stato invece il cammino di Roberto Di Maio dopo l’addio al Lecce?

“Dopo tanta Serie C ho deciso ad un certo punto di avvicinarmi a quella che era la mia casa, ovvero San Marino, e di non spostarmi più per ragioni famigliari. Così prima ho giocato soprattutto in D, a partire dal Rimini, poi nel San Marino smettendo di fatto a 36 anni. A quel punto mi sono spostato nel campionato interno sammarinese, le cui squadre principali sono al livello di un’Eccellenza italiana. L’ho fatto per divertirmi e tenermi in forma, ma anche perché comunque collaboro con la Federazioni allenando le selezioni giovanili. Poi, lo scorso gennaio, ho realizzato un sogno grazie alla cittadinanza di San Marino che mi ha permesso di giocare con la Nazionale. Un’esperienza incredibile, mi sono regalato la possibilità di giocare match internazionali con realtà del calibro di Danimarca, Finlandia, Kazakistan o Irlanda del Nord, che per San Marino è come scalare l’Everest. E per me un po’ come giocare in quella Serie A che non ho mai raggiunto”.

Un paio di mesi fa ha tenuto banco la polemica che ti ha visto protagonista assieme ai calciatori della Danimarca, Hojlund su tutti. Cos’è successo?

“Con la Danimarca era stata una partita accesa. Loro erano venuti pensando di fare una passeggiata di salute, ma il campo ha detto altro perché al ’70 segnammo il gol dell’1-1 in una partita già tirata e difficile per i danesi. A quel punto i loro tifosi, che erano davvero tanti, hanno iniziato a fischiare. Loro hanno messo davvero dentro tutti gli attaccanti che avevano, riuscendo a realizzare il 2-1. Ma l’atmosfera si era davvero fatta calda, io entrai subito dopo il nuovo svantaggio ed era partita vera. Poi c’era Hojlund che cercava continuamente il rigore ed a fine gara disse che noi li avevamo picchiati. Per carità, io un’entrata di gioco su lui l’ho fatta, ma nulla di troppo duro. Loro hanno detto che abbiamo giocato per far male, forse per giustificare la brutta figura che hanno fatto. Al ché ho risposto via social che uno come Hojlund 10-15 anni fa non avrebbe potuto giocare, in un calcio con me VAR e dunque con gioco più duro. Probabilmente se ora si lamenta così non sarebbe potuto essere mister 80 milioni. Ma effettivamente il loro era tutto un giustificarsi per spostare l’attenzione da una gara che, pur vinta, li ha visti fischiati dai loro stessi tifosi a fine match”.

Qual è la mission del calcio a San Marino?

“Partiamo col dire che è una nazionale fatta soprattutto da non professionisti. Ci sono due calciatori dell’Olbia, Serie C, qualcuno di Serie D e la maggior parte del campionato interno, dunque gente che lavora. Così spesso risulta difficile preparare le gare, ma c’è un clima speciale che rende tutto bellissimo. Le piccole ambizioni sono quelle di migliorare il ranking e di puntare alla crescita di tutto il movimento”.

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4 mesi fa

Allora è lui il Di Maio ca se zziccau cu Hojlund

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4 mesi fa

fa sempre male ma è anche interessante e utile conoscere certe storie

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