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Cosmi tra pensieri e storie: “Vi racconto il mio Lecce. Il ritorno? Solo timidi contatti…”

Il tecnico perugino, ospite ieri sera della diretta di SpacchiliLecceMia Magazine, ha parlato del Lecce di oggi prima di un tuffo nei ricordi dei suoi sette mesi vissuti in giallorosso nella stagione 2011/2012. L’epilogo sul campo disse retrocessione, ma il legame tra Cosmi, il Salento e i tifosi salentini resta indissolubile.

LECCE-PISA. “Come avrei reagito sabato ai gol presi dal Lecce? La mia maniera di partecipare alla partita è stata sempre viva. Io mi lascio coinvolgere dagli eventi di gioco ed è una fortuna rispetto a dei miei colleghi. Tanti allenatori fanno gli indifferenti ma dentro muoiono dalla gioia di esultare. Io appartengo a una razza di allenatori a cui piace condividere il gol. Se subisco rete però non è che cerco il colpevole, sono altre le cose che mi mandano in bestia. Esempi? Gli atteggiamenti violenti con le mani, il fermarsi, vivere la partita in modo sbagliato. Atteggiamenti in cui non ci si può fare niente. Meccariello ha sbagliato dopo un solo minuto? Non c’è da preoccuparsi, è un giocatore iper affidabile, l’errore è stato un infortunio, come sbagliano gli attaccanti sbaglia anche lui, non c’è bisogno di arrabbiarsi più del dovuto. Mi fanno arrabbiare certi comportamenti negli spogliatoi e durante la partita”.

MANCOSU E IL PARAGONE CON IL PERUGIA DI COSMI. Il tecnico, sollecitato da una domanda sul capitano del Lecce, ha parlato a ruota libera dei cambiamenti di categoria e delle differenze in campo rispetto a dieci anni fa: Mancosu è un grandissimo giocatore. Il paragone con i ragazzi da me lanciati al Curi? Vi speiego. Negli anni 2000 era complicato lanciare i giovani, e il Perugia era bravo a lanciare giocatori. Liverani per esempio arrivò dalla Viterbese, Pieri fu venduto a 12 miliardi dopo aver fatto la C, Grosso, Baiocco. In Serie C e Serie D ci sono giocatori di valore, quando non alleno mi diverto a vedere questa categoria Ci sono giocatori che sono arrivati a 25 anni e ti sorprendi a vederli lì. Non me ne voglia nessuno, ma oggi è più facile per un ragazzo di C arrivare in A rispetto a tempo fa. Oltre che per i giocatori per gli allenatori, allora era tutto diverso. C’erano tappe più lunghe e valori tecnici diversi”.

ANCORA SU MANCOSU E SULLE CATEGORIE. “Mi sorprende che Mancosu sia arrivato tardi dimostrando qualità incredibile. Il sardo gioca meglio in A che in B. Liverani per esempio era bravo in C ma non faceva la differenza, in A poi è stato uno dei migliori centromediani all’esordio. Ci sono giocatori che giocano meglio in A che in C. Per questo non esistono le equazioni, ho visto giocatori di A andare in C e non beccare una palla. Penso a Caputo, Hubner, Riganò, calciatori che sono arrivati tardissimo al vertice. Qui dipende molto dal lavoro di chi fa le squadre. Guai a fare le squadre in B con quelli bravi di A. Insigne giocava in C, come , Sau, suo compagno di Insigne nel Foggia, Falcinelli”.

LE POSSIBILITA’ DI TORNARE A LECCE IN PANCHINA. Serse Cosmi, prima di tuffarsi nei suoi ricordi da guida del Lecce, parla dei presunti contatti avuti anni fa con la società giallorossa, allora guidata dalla famiglia Tesoro, per ritornare: “Delle trattative per venire ancora qui? C’è stato poco. Io ovviamente dopo quei sette mesi sarei rimasto volentieri a prescindere dalla categoria senza sapere quello che poi è successo extracalcisticamente. Quella retrocessione sanciva anche l’addio di Semeraro, arrivò un’altra gestione societaria. E so come vanno le cose quando capitano questi passaggi. E in futuro? Ebbi un leggero contatto dopo le partite perse da Moriero. Ci fu un contatto telefonico svanito subito, ma, con tutto rispetto, non potevo subentrare in Lega Pro a Lecce. Poi non c’è stato più modo. Io ho sempre seguito il Lecce con la speranza che tornasse in B. Lecce e Perugia sono due piazze che devono stare nell’habitat naturale della Serie B. Io non mi definisco un allenatore, sono un missionario del calcio”.

CHEVANTON, RONALDINHO E LE MAGLIE. Un commento di un utente apre la serie degli aneddoti. Alla sollecitazione su dei ricordi di Perugia-Lecce 2-2 del 9 novembre 2003, gara in cui Chevanton segnò un gol pazzesco, Cosmi risponde parlando a braccio: “Il lockdown mi ha dato la possibilità di percorrere la mia carriera. Io sento ancora di avere tempo e molto da dare al calcio. Andai su Youtube e vidi la partita vinta a Lecce col Perugia. Non ho mai perso a Lecce da avversario, come anche a Bari. Ritornando a quelle partite vidi quel Lecce-Perugia, io chiesi la maglia a Chevanton, anche se già glielo accennai prima della gara. Io ora le maglie le chiedo poco, le offrono i miei ex calciatori, però nei primi anni mi fissavo, vivevo la Serie A come un tifoso, che appunto chiedeva la maglia agli avversari. Cheva mi faceva impazzire per quanto era forte. Il gol che ci fece a Perugia? Il portiere era Tardioli, gli dissi “quel gol non l’avevo pensato neanche io, figurati tu che arrivi sempre dopo di me”. E poi, dall’uruguaiano, si passa a Ronaldinho, affrontato da Cosmi con l’Udinese: “Ho chiesto la maglia a Ronaldinho quando giocammo a Barcellona in Champions con l’Udinese e fui attaccato. Su un giornale nazionale italiano dissi di aver confermato il mio provincialismo per aver chiesto la maglia. Io poi ricordai che una volta finita la partita era una festa. Affrontare Ronaldinho era appunto una festa. Quest’ultimo mi promise la maglia dopo la mia conferenza stampa prepartita: è una cosa che porterò nel cuore”.

MURIEL E CUADRADO. Si è parlato poi dei due colombiani, assi del Lecce allenato proprio da Cosmi. Anche qui, alle disamine tecnico-tattiche seguono storie: “Io ho visto fare delle cose pazzesche a questi due ragazzi in allenamento e partita. Non godevano di grandissima considerazione all’Udinese, pertanto furono mandati in prestito. Cuadrado non vedevano l’ora di darlo via lì. Non gli si riconoscevano delle qualità di un calciatore che poi è stato alla Fiorentina, al Chelsea e alla Juve, dove ha vinto scudetti a go-go. Su Muriel c’erano più aspettative e fu riportato a Udine dopo l’anno di Lecce. Per merito mio. Il cambio ruolo di Cuadrado? Prima, con Di Francesco, Cuadrado faceva il quarto di difesa, fu disastroso per esempio in una gara con l’Inter, ci rifacemmo al ritorno. Muriel è il calcio, quando io dissi che era simile a Ronaldo fui preso in giro dagli addetti ai lavori. Il mio riferimento era alla tipologia di gioco, alla classe e non al fisico. Meno male che all’epoca non si usavano molto i social. Muriel ha limitato la carriera per cose sue e lo ha ammesso”.

COLOMBIANI IN PISTA, MA POI…“Racconto un aneddoto. Cuadrado si fece male col Genoa, il calciatore che gli fece fallo non fu espulso ma lui si fece male. Era fondamentale ma faceva fatica a recuperare. Lui ballava sempre nello spogliatoio e io gli dissi ‘vai a ballare con Muriel qualche sera per riprenderti’. Dopo due giorni mi chiama Osti chiedendo di convocarli in sede dopo averli visti in discoteca. Era tardi, le 2 di notte. Io il giorno dopo, seduto vicino a Osti, ero fissato da Cuadrado. Viene fuori la cosa e Cuadrado guardava me, speravo che lo aiutassi. Io però non gli avevo detto di ballare fino alle 2. Osti minacciò multe prima di lasciare la sala.  Io scendo giù e Cuadrado mi disse ‘mister ti sei cagato sotto, se avessi confessato ci avrebbero cacciati tutti e due'”.

IL RIMPIANTO RETROCESSIONE. L’allenatore umbro ripercorre poi il cammino del suo Lecce: “Quando arrivai avevamo 8 punti, col tempo però ci accorgemmo delle qualità. Avevamo Tomovic, Giacomazzi, Muriel, Di Michele, Seferovic che ora sta facendo una bella carriera. Eravamo un’ottima squadra, proponibile, non un’armata brancaleone. Nelle prime partite trovammo difficoltà fino a gennaio. Arrivarono Blasi, Miglionico (che allenai), Delvecchio giocatori non eccelsi dal punto di vista tecnico ma che ci servivano. C’era un clima troppo vacanziero e diventammo una squadra ostica, facemmo un grande girone di ritorno con grande qualità di gioco. Vincemmo a Catania, vincemmo a Cagliari, l’Inter perse con noi dopo 7 partite consecutive. Cademmo col Parma in casa, se fossimo riusciti a vincere mentre perse il Genoa ci saremmo salvati. Contro la Juve facemmo un pari incredibile contro Conte ma due giorni dopo giocammo a Lecce contro la Fiorentina, in teoria salva. Dovevano prendere un punto dopo la lite Rossi-Ljajic e fallimmo. Quello che ho avuto dopo la fine della gara contro la Viola e dopo il Chievo è assurdo. Ci sono allenatori che in carriera mettono in bacheca trofei, ma quando vinci un riconoscimento così da tutto lo stadio…non c’è trofeo. Si fa questo mestiere per questo, non per le Coppe. Quello ti rimane e io mi sento un privilegiato: è successo a Lecce, a Trapani e Perugia. A Lecce pochissimi allenatori ebbero quella fortuna”.

DI MICHELE. Cosmi racconta poi i saliscendi del suo rapporto con David Di Michele: “Quando lo allenai all’Udinese aveva molta più considerazione di Di Natale nell’intero panorama calcistico, caratterialmente non stava bene lì, successero storie e contestazioni. A gennaio andò a Palermo. Io non avevo niente contro di lui, ma mi dette colpe sbagliate. Una volta di fronte a tutti i tifosi che lo contestavano ci misi la faccia io difendendolo. Lì mi ringraziò e dopo un mese si dimenticò. Me la presi. Poi lo incontrai a Lecce. Pensai di chiarire già al primo giorno. Lui sapeva tutto ma da subito capì e fece un girone di ritorno allucinante. La rovesciata di Parma col piede sbagliato fu incredibile. Giocammo col quarto portiere alla fine, avremmo potuto vincere, peccato. Aveva dei colpi allucinanti. Il carattere gli ha limitato gli effetti positivi in carriera”.

LA MAGLIA DIVENUTA ICONICA DOPO L’AMORE PER IL SALENTO. Cosmi conclude poi parlando di un momento che, letteralmente quasi, raffigura la sua militanza nel Lecce. Il saluto al settore ospiti dopo Chievo-Lecce 1-0, gara che sancì la retrocessione in B, con addosso la tshirt con scritto ‘Stu core nu bbu lassa mai”. “La maglietta? Faccio una premessa. Mi piace allenare e mi piace capire dove alleno. Non faccio l’esaurito del calcio vivendo solo di calcio. Il non capire dove ti trovi è un grande limite per allenatori e calciatori. In ogni posto dove alleni devi capire la mentalità, la piazza, la sensibilità per capire. Dopo poco tempo che ero nel Salento, giravo ogni giorno. I colori, la musica, le persone, l’aria meridionale e aristocratica di Lecce. Feci subito amicizia, uscivo sempre a cena, andavo dappertutto, Porto Cesareo, Otranto. Amo il dialetto leccese. Dicevo ai miei commensali, durante le frequenti cene, di parlare in dialetto e pian piano lo capivo, mi piaceva. Durante il finale di campionato, mentre sapevo di dover salutare Lecce per l’addio dei Semeraro, solo per quello perché sarei rimasto in B con loro, chiesi a questa persona una frase per congedarmi. C’era quella e anche altre, tra cui ‘inthra lu core’, ‘tira chiu lu Serse dellu nsartu’, non la potevo mettere, e ‘stu core nu bu lassa mai’. Quest’ultima avvolgeva tutto, ho un quadro che prende la parete con quella foto al Bentegodi. Il ‘bbu’ (a voi) è un rafforzativo che mi piacque molto. Io regalai le maglie a tutti ma poi misi quella”.

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3 anni fa

Ci vuole raccontare come ha fatto a retrocedere con uno dei Lecce più forti della storia (con Muriel e Cuadrato tra gli altri)?

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