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Quando l’avversario accelera, il Lecce non sa reagire. Serve (anche) più spirito battagliero

Il gap tecnico con le avversarie è un problema esistente ma preventivabile già in estate. I giallorossi ci hanno saputo a lungo mettere una pezza, ma con il calo fisico una certa verve sembra essere “dimenticata”.

Avevamo lasciato, poche settimane fa, un Lecce molle preso a pallonate prima dal Brescia e poi dal Bologna. Riposo e panettoni non sono serviti granché, perché il 2020 i giallorossi lo hanno cominciato migliorando nel gioco e nell’attenzione difensiva, ma venendo comunque sconfitti 0-1 dalla non irresistibile Udinese. Cosa è mancato ai ragazzi di Liverani ieri? Le risposte sarebbero tante, ma qui ci soffermiamo sulla più eclatante: la grinta nei momenti di sofferenza.

Tolte le imbarcate con Inter, Napoli e Atalanta, la cosa più bella del Lecce fino a dicembre era stata la capacità di saper soffrire come collettivo. Di rimanere aggrappato al risultato o di mantenerlo in equilibrio quando gli avversari spingevano forti di una maggiore caratura tecnica, per poi colpirli e fare risultato. Un aspetto fondamentale per una neopromossa che non può giocarsela alla pari nei singoli con quasi nessuno in Serie A. Che deve puntare sul gioco corale e sull’unione, grintosa e agonistica, dei reparti quando il gioco si fa duro.

Latitante con Brescia e Bologna, questo aspetto è mancato anche ieri con l’Udinese. Premettendo che il pari sarebbe stato il risultato più giusto, il Lecce ha saputo far bene solo quando il pallino del gioco era nelle sue mani. Quando, dopo l’intervallo, i friulani hanno accelerato, Mancosu e compagni sono andati in crisi, non riuscendo quasi più a superare la trequarti avversaria e subendo diverse palle-gol. Nonstante, ripetiamo, i ritmi non vertiginosi dei ragazzi di Gotti. I quali, va detto, hanno dimostrato una maggior voglia di vincere.

E non parliamo di difesa barcollante, di singoli spenti o di errori nelle sostituzioni. Questo è più un discorso di mancanza di carattere, di quello spirito che viene fuori non quando sei in palla e giochi bene, ma proprio quando la battaglia si fa sporca, dura. Un esempio su tutti, la vittoria di Firenze. Tre punti monumentali in un match in cui il Lecce non ha certo fatto la partita, interpretando però perfettamente il match. Rapido, bello ed efficace nel giro palla nei momenti propizi, mai arrendevole e capace di respingere i viola nelle fasi clou.

Troppo spesso e in troppe fasi del match i giallorossi, da qualche tempo, non riescono invece a reagire alla spinta dell’avversario di turno. Paura, disimpegni sbagliati, testa bassa: dov’è andata a finire la grinta? Quella voglia di mangiarsi l’erba che palesa Liverani a bordocampo, quel fuoco chiesto dal presidente Sticchi Damiani? Ora è tempo di guardarsi in faccia nello spogliatoio e dirsi “Lecce, cosa vuoi fare da grande?”. Qualunque sia la risposta, il traguardo non può prescindere dall’andare a mille e mordere ogni pallone capiti a tiro. Altrimenti c’è il rischio che i primi fischi stagionali si protraggano nel tempo.

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