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Tutte le rivelazioni di Bojinov: “La mia carriera? Voglio finirla a Lecce. Con Zeman sono diventato giocatore”

L’attaccante bulgaro ha rilasciato una lunga intervista, intrisa di spunti, a Il posticipo, blog della Gazzetta dello Sport. L’ennesima dichiarazione d’amore al Lecce non è solo un flashback: Valeri vorrebbe tornare al Via del Mare ancora da calciatore. Si parla anche del tribolato trasfertimento alla Fiorentina.

Valeri Bojinov e il Lecce, una storia lontana con le parvenze di favola, iniziata da giovanissimo, cresciuta pian piano tra campi d’allenamento, banchi di scuola e dormitori e arrivata fino alla ribalta fantastica della Serie A. Grazie al Lecce, Bojinov è diventato un calciatore di livello europeo, grazie al Lecce Bojinov ha vestito tante maglie, alcune prestigiose.

L’eterno ragazzo ha parlato a cuore aperto in una lunga chiacchierata dove si svelano tanti passaggi della storia di un personaggio enigmatico ma affezionatissimo ai luoghi della sua crescita, luoghi in cui sogna ancora di giocare e vorrebbe chiudere la carriera, dove tutto iniziò con l’esordio in A a neanche sedici anni.

IL MOMENTO PERSONALE. “A 33 anni vivo un momento di piena maturità, oggi vorrei averne 20 ma non posso. Vorrei tornare indietro con la testa di oggi. Col passare del tempo capisci tante cose e ripensi a certi atteggiamenti del passato e a tante decisioni che oggi non prenderesti. Alcuni momenti sarebbero potuti essere ancora più belli, ma quando li vivi non puoi capire dove sei. A 33 anni quando tutto quello è finito allora puoi capire che cosa hai vissuto. Non voglio piangermi addosso, voglio pensare avanti”.

L’ISPIRAZIONE. “Vedere tornare in Italia un giocatore come Ibrahimovic a 38 anni o vedere Cristiano Ronaldo è uno stimolo: io non sono al loro stesso livello, ma mi carica vedere come combattono per migliorarsi ed essere un esempio per tutti: per le loro famiglie, per le loro squadre, per i tifosi e per i giornalisti. Queste due persone mi danno ancora più fiducia e stimoli per lottare e andare avanti”.

ALLENAMENTI. Bojinov si sta preparando al prossimo contratto nel paese natio: “Sì, sono in Bulgaria. Qui la preparazione invernale è più lunga rispetto a quella estiva perché fa molto freddo e non ci sono partite in programma. Il campionato comincia a febbraio.

AMBIZIONI. Dopo l’accostamento al Livorno di settimane fa, Bojinov rivela i suoi desideri: “Vorrei tornare in Italia, ma non vorrei tornare tanto per tornare. Deve esserci un progetto, sogno una squadra con cui rilanciarmi gestita da qualcuno che creda in me. Non è facile, ma finché c’è speranza io ci devo credere”.

DIFFICOLTA’. “Tornare in una squadra dove ho giocato? Questo è difficile perché quando esci dal calcio italiano, esci dal giro. Tutti cercano giovani con la speranza di poterli rivendere e guadagnare soldi. È una cosa giusta perché anche io ero giovane quando sono arrivato in Italia, che considero la mia seconda casa. Io mi sento un italiano. Ho studiato a Lecce da ragazzino. Oggi la penso diversamente rispetto alla gente che vive in Bulgaria. Sono molto grato all’Italia”.

RIVELAZIONE GIALLOROSSA. Bojinov poi si lancia nella confessione: “Ho un desiderio: voglio finire la carriera al Lecce dove l’ho iniziata. Non so se succederà, ma nella vita non si sa mai”.

GRAZIE SDENGO. E poi si ripercorre l’annata 2004/2005, quella con Zeman sulla panchina del Lecce. Fu un lasso di tempo vitale per il calciatore, che parla del boemo e dei suoi miglioramenti: Con Zeman mangiavamo minestrone, patate lesse, insalata, zuppe e verdura e facevamo tanti allenamenti, sudavamo tanto e macinavamo tanti chilometri di corsa. Grazie a lui sono diventato un giocatore. Pantaleo Corvino lo aveva voluto per la sua capacità di lanciare i giovani come me, Vucinic, Ledesma, Chevanton, Cassetti, Pinardi e Giacomazzi. Era difficile seguirlo, perché era molto duro però alla fine i risultati sono arrivati: non abbiamo vinto ma ci ha fatto crescere. Zeman ha valorizzato Totti nella Roma poi Immobile e Verratti nel Pescara. Il caso di Verratti è emblematico: non ha mai giocato in A ed è passato dalla B al Psg. Il mister ci ha fatto diventare grandi giocatori”.

IL PASSAGGIO ALLA FIORENTINA. Il racconto poi affronta il capitolo del trasferimento alla Fiorentina, fatto che nel Salento causò lo strappo con parte della tifoseria: “È stata una grande esperienza. Sono sbarcato a Firenze quando sono arrivati i fratelli Della Valle che hanno fatto partire un grande progetto costruendo una squadra da Champions: con Prandelli ci sono riusciti. L’arrivo di Corvino è stato importante per costruire una rosa con giovani talentuosi e giocatori di esperienza. La tifoseria era calorosa. Se perdavamo, la gente parlava già della partita successiva che avremmo dovuto vincere. Noi uscivamo dal campo stanchi morti e i tifosi pensavano già al prossimo impegno. La tifoseria viola è molto vicina alla squadra e si aspetta molto. Quando sono arrivato io l’allenamento era aperto: c’erano sempre mille persone, ogni gol era un boato”.

CONSIGLI A PRADE’. “Io a consigliare a Pradè Milekovic e Vlahovic? Ai tempi del Partizan Belgrado ero compagno di stanza di Milenkovic: io ero stanco, ma lui voleva che ogni sera gli parlassi dell’Italia e della Juventus. Nikola diceva che nella sua carriera avrebbe giocato in Italia. Un giorno mi ha chiamato Corvino per chiedermi che cosa ne pensassi di Milenkovic e Vlahovic: gli ho detto di prenderli subito senza pensarci e che un giorno avrebbe incassato il doppio di quello che era disposto a investire. Non è un caso che questi due giocatori stiano facendo così bene. Milenkovic ha ancora grossi margini di miglioramento e lo vogliono già tante squadre, ma anche Vlahovic diventerà un campione. Entrambi sono un patrimonio della Fiorentina”.

INTER , CHE RIMPIANTO. Dalla Fiorentina, mancò il successivo passaggio all’Inter, era il 2006: “Un giorno ero a casa a Firenze e mi stavo riposando. All’improvviso ho ricevuto una telefonata e ho risposto: dall’altra parte c’era Marco Branca, allora direttore sportivo dell’Inter. Ho riattaccato. Branca mi ha chiamato di nuovo, pensando che fosse uno scherzo ho riattaccato. Poi mi ha contattato il mio procuratore dell’epoca Gerry Palomba insieme a Romualdo Corvino: mi ha detto che dovevo rispondere a Branca. Allora il direttore sportivo dell’Inter mi ha chiamato di nuovo per chiedermi se volevo andare a giocare a Milano: gli ho detto subito di ‘sì’. Quel weekend era in programma Fiorentina-Chievo a Perugia. Branca mi aveva raccomandato di non fare casino e di stare tranquillo perché a fine partita avremmo concluso il mio passaggio all’Inter”.

STRAPPO VIOLA. “Che cosa è andato storto? Prandelli mi aveva detto che non sapeva se avrei giocato: il mister era indeciso se mandare in campo me o Jimenez che era appena arrivato alla Fiorentina. Per un posto dietro Toni c’era in ballottaggio anche Pazzini. Il giorno della partita al mattino Prandelli ha comunicato che avrebbe giocato Jimenez. Ci sono rimasto male e mi sono innervosito. Il presidente mi ha chiesto spiegazioni: gli ho detto che non volevo parlarne perché ero molto arrabbiato. Lui mi ha detto di stare tranquillo perché c’erano tante altre partite che avrei potuto giocare. Ho litigato con Della Valle, ma non pensavo che lui se la fosse presa. Al rientro verso Firenze mi ha chiamato Corvino per chiedermi che cosa avessi combinato. La società ha deciso di mettermi fuori rosa e non sono andato all’Inter. Anche Branca mi ha chiamato per chiedermi che cosa fosse successo. Sono rimasto fuori per due settimane poi mi hanno convocato di nuovo e ho giocato titolare in Fiorentina-Inter finita 2-1. Poi l’estate successiva sono passato alla Juve nello scambio con Mutu”.

NO INTER? C’E’ LA JUVE. In quell’estate, poi, tramontata l’ipotesi Inter, Bojinov passò alla Juventus: “Ero in vacanza in Bulgaria, Corvino mi ha chiamato per chiedermi se volessi andare alla Juve: io scherzando gli ho chiesto se ci sarei andato davvero. Il direttore mi ha detto che la squadra era finita in B per Calciopoli, ma non mi importava: la Juve è la Juve. Sarei stato il primo bulgaro a giocare coi bianconeri. Ricordo il mio primo giorno: basta entrare dentro quegli spogliatoi per sentire un’aria speciale. Alla Juve conta solo vincere, si parlava solo di questo vedendo le foto coi trofei e tutti quegli scudetti. In quella squadra c’erano campioni come Nedved, Ibrahimovic, Camoranesi, Del Piero e Buffon. Io volevo giocare col numero nove: Ibra mi ha detto che se fosse andato via lui me lo avrebbe lasciato e che sarei andato in camera con Pavel. Ibra non voleva restare in B ed era pronto a passare al Milan o all’Inter: era molto scherzoso, affascinante e simpatico, poi diceva sempre tutto quello che pensava”.

GIOCARE CON DEGLI IDOLI. “I miei compagni squadra alla Juve erano miei idoli: gli avevo fatto da raccattapalle a Lecce e avevo giocato contro di loro a Firenze. Per me essere lì è stata una grandissima esperienza: alla Juve ho imparato come allenarmi, come vivere e come mangiare. Dopo l’addio di Ibra sono andato in stanza con Nedved e siamo stati sempre più vicini. Seguivo i suoi consigli. Non ho mai visto un giocatore così: prima di andare all’allenamento si allenava e lo faceva anche dopo la seduta. D’estate andava in barca con sua moglie e aveva un tapis roulant a bordo per tenersi in forma. Pavel non si riteneva un grande giocatore: sosteneva che le sue qualità migliori fossero la corsa e il carattere. Ibra scherzava sempre con Pavel: una volta gli ha detto che se avesse avuto i suoi colpi avrebbe vinto venti Palloni d’Oro”.

IL FIGLIOCCIO DI PAVEL NEDVED. “Pavel mi considerava un po’ suo figlio in un certo senso. Mi prestava anche la sua auto per andare a Milano dato che io ne avevo una con appena due posti. C’era un grande rapporto tra noi. Lui abitava fuori Torino circondato dai campi da golf vicino alla residenza di Agnelli. Una sera mi ha invitato a mangiare a casa sua e mi ha fatto sollevare il Pallone d’Oro: io lo avevo visto dal vivo solo una volta, quando Shevchenko lo avevo mostrato a San Siro nel 2004. Pensavo che pesasse poco. Nedved mi ha detto che quando i giocatori “pesanti” ricevono un premio deve essere pesante”.

PAVEL GOLOSO. “Ogni sabato sera Pavel mangiava le caramelle gelée Haribo prima di andare a letto: ne faceva fuori due pacchetti. Diceva che gli davano l’energia che gli sarebbe servita il giorno dopo. Pavel aveva un fisico bestiale con addominali scolpiti: era asciutto, non c’era un filo di grasso. Mi diceva che io ero pazzo perché mangiavo la pasta col pane: a me piaceva fare la scarpetta a tavola. Oggi sono uscito dal giro e mi vergogno di chiamarlo e di cercarlo. Conosco tante persone in Italia, giocatori e procuratori, ma non ho mai chiesto favori a nessuno. Sono abituato a guadagnarmi tutto da solo”.

DEDICA ALL’INTER. “È nato tutto in occasione di Parma-Milan nel marzo 2010: allora rossoneri e nerazzurri si giocavano lo scudetto. Non ero partito titolare, Guidolin mi aveva fatto entrare a un quarto d’ora dalla fine: all’86’ ripartiamo in contropiede, Marrone tira in porta, Abbiati para, io mi butto sulla respinta e faccio gol con tap-in e vinciamo 1-0. Nel post-partita mi avevo chiesto a chi volessi dedicare quella rete: ho risposto a Mourinho e all’Inter”.

E LA TELEFONATA DI MOU…“Quell’anno ero andato a vedere l’Inter con Daniele Galloppa che è un grande tifoso nerazzurro. Mi piaceva Mourinho come personaggio e mi piace la squadra col tridente Eto’o-Milito-Pandev e Sneijder. Galloppa aveva chiesto di andare a vedere Inter-Chelsea agli ottavi di finale di Champions: avevamo trovato i biglietti vicino alla Curva Nord, la squadra di Mou aveva vinto 2-1 e mi aveva impressionato. Due settimane dopo abbiamo giocato contro il Milan e ho dedicato la mia rete al portoghese e all’Inter. Il giorno dopo ho ricevuto la telefonata di Josè Mourinho. Pensavo fosse uno scherzo e ho chiuso il telefono. Mi ha chiamato di nuovo, ho riattaccato ancora. Poi ho ricevuto la chiamata del team manager dell’Inter: mi ha detto che Mourinho voleva parlare con me”.

MOURINHO IN CONFIDENZA. “Cosa mi disse? Mi aveva chiamato per ringraziarmi perché avevo dedicato il mio gol a lui e all’Inter e per farmi i complimenti. Mi aveva detto di segnarmi il suo numero di telefono e di andarlo a trovare a casa sua a Como. Io però non sono un ragazzo che se ne approfitta e non ci sono mai andato. Qualche giornata dopo ho segnato alla Fiorentina e mi è arrivato un altro messaggio: “Complimenti per il gol, sei un grande. José Mourinho”. Quando l’Inter ha vinto la Champions nel 2010, Mourinho mi ha scritto: “Questa vittoria è anche tua”. Dopo la finale col Bayern mi ha chiamato e ci siamo sentiti”.

MAI ALLENATO DALLO SPECIAL ONE. Mourinho e Bojinov, però, non s’incontrarono mai nello stesso club: “Al primo anno al Parma nel 2009-10 ero in prestito dal Manchester City. Mourinho mi aveva chiesto quale fosse la mia situazione e che procuratore avessi: voleva presentarmi Jorge Mendes. Io l’ho ringraziato per il pensiero, ma ci tenevo a restare col mio procuratore Jerry Palomba. Mou mi aveva detto che sarei potuto andare al Porto. Io non me la sono sentita di lasciare le persone con cui ero cresciuto e diventato calciatore”.

AL MARAKANA. Bojinov esamina poi il suo passaggio al Partizan Belgrado: “In Serbia al Partizan Belgrado sono stato molto bene: anche se il livello del campionato è basso, ho giocato in una grande squadra. Lì c’era una tifoseria molto appassionata. Mi piace tanto Belgrado: ho comprato tre case lì. Lì ho conosciuto anche Stankovic. Sono stato un anno e mezzo a Belgrado vincendo la Coppa di Serbia, ma non il campionato perché mi sono trasferito in Cina”.

IN CINA? PER SOLDI. Il bulgaro discute con onestà della parentesi asiatica al Meizhou Hakka: “Ci sono andato per soldi. È stata un’esperienza bella, ma difficile. Ho giocato per una squadra neopromossa, il livello però era molto basso. Gli avversari non mi davano gli stimoli giusti. Era tutto diverso rispetto a come ero abituato io. Noi ci allenavamo alle quattro del pomeriggio con 40 gradi e umidità del 100%. Guadagnavo tanti soldi, ma non c’è l’ho fatta. Per me è importante divertirmi nello spogliatoio e quando scendo in campo. Poi nessuno parlava inglese: per ordinare qualcosa dovevo usare Google. Avevo un contratto di 10 mesi, dopo 5 non ce l’ho fatta più”.

DOPO IL CAMPO? NON CI PENSO. “Al momento vorrei continuare a giocare, ma non so dove. Spero di avere un’altra possibilità. Poi vorrei iscrivermi al master di allenatore per provare a conoscere un altro mondo. Potrei fare il direttore sportivo oppure il procuratore: non lo so ancora al momento. Sicuramente non uscirò dal mondo del calcio. Vorrei lavorare in Italia perché la gente ti rispetta e ti apprezza. In Bulgaria invece c’è un po’ di gelosia, le persone famose non piacciono. Mi dispiace perché io sono bulgaro e amo la Bulgaria però certe cose devono cambiare: spero che un domani questo possa accadere”.

AMICO MIRKO. “Se sento ancora qualche mio compagno: Vucinic: quando lo chiamo mi dice di non rompergli le scatole perché sta giocando a golf, lui ne va matto. Mirko ha smesso col calcio e dice che io sono pazzo perché a 33 anni voglio ancora giocare. Io gli dico sempre che non so fare altro nella mia vita. Voglio giocare finché sarà possibile perché è una cosa che amo. Mi sto allenando in Bulgaria con tanti giovani che mi chiedono come faccio ad avere ancora così tanta voglia di allenarmi. Ho 33 anni, ma dentro mi sento un ragazzino. Per mantenere certi livelli devi combattere con te stesso ed essere un esempio per tutti quanti”.

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Gianni
Gianni
4 anni fa

Grande attaccante ⚽

Alé Alzofrecce
Alé Alzofrecce
4 anni fa

Per me rimane un ingrato, manco arrivò a Firenze che si era già tatuato il pellerossa…

Commento da Facebook
Commento da Facebook
4 anni fa

La finisse a Firenze dato che ce l’ha tatuata sul braccio. CAROGNA

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