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GdM – Luperto: “La ripresa sarà dura: scendere in campo ogni tre giorni determinerà un grande stress psico-fisico”

L’ex centrocampista giallorosso parla a La Gazzetta del Mezzogiorno (intervista di Antonio Calò) della ripresa della serie A post-pandemia e poi si lascia andare ai ricordi di quando militava con la casacca giallorossa.

RIPRESA DOPO LO STOP. «Sarà dura, anzi durissima. Scendere in campo ogni tre giorni determinerà un grande stress psico-fisico. Si tratterà di capire con quale stato d’animo ogni singolo atleta giocherà dopo tutto ciò che è accaduto. Pertanto, l’aspetto mentale sarà più che mai fondamentale. Ma conteranno a maggior ragione anche la tattica, intesa come organizzazione e come capacità di ridurre al minimo gli errori, e la tenuta sul piano della condizione».

Luperto poi ricorda e racconta Lecce-Arezzo 2-1 andato in scena il 5 giugno 1983. Quel Lecce, all’epoca allenato da Mario Corso, brindò alla permanenza in serie B con una giornata di anticipo rispetto alla conclusione del campionato.

RICORDI DEL MATCH. «Quella con l’undici toscano guidato da Angelillo fu una sfida che sentimmo molto, in quanto sapevamo di giocarci tanto, forse tutto, in considerazione del fatto che gli ultimi 90′ ci avrebbero visti impegnati in trasferta, con l’Atalanta. Riuscimmo a trasformare la tensione in energia positiva ed incanalammo ben presto la gara sui giusti binari, colpendo nella seconda metà del primo tempo, in rapida successione, prima con Miceli e poi con Capone. L’Arezzo ridusse le distanze solo in extremis, quando oramai era tardi per impensierirci. Così, al triplice fischio dell’arbitro, fu festa per la permanenza tra i cadetti».

OTTIMA STAGIONE 1982/83. «Disponevamo di una rosa nel cui ambito figuravano diversi giovani emersi nel vivaio. Io avevo 21 anni. Poi c’erano Rizzo e Bagnato con i quali, nella stagione precedente, avevo vinto il torneo di C2 con il Cosenza, compagine alla quale eravamo stati ceduti in prestito per farci le ossa. C’erano Nobile, Bruno, Levanto e Mileti, oltre a Spica che era cresciuto nell’Avellino, ma alle spalle aveva solo poche presenze in serie D. Accanto a noi ragazzi figuravano poi alcuni calciatori navigati come i compianti Lorusso e Pezzella, come Orlandi, Cannito e Capone».

ANEDDOTO. «Mister Corso decise di tenermi in organico dopo avermi valutato e mi disse: La classe non è acqua e tu ne hai tanta». Le sue parole mi portarono al settimo cielo e furono per me uno stimolo enorme. Il trainer veneto era alla sua prima esperienza in panchina dopo quella vissuta con il Napoli, in ambito Primavera, ma era famosissimo, avendo disputato oltre 400 partite con l’Inter. Tutti, ancora oggi, ricordiamo le sue punizioni «a foglia morta». Era un grande uomo, pacato. Sapeva infondere tranquillità. Voleva che giocassimo a calcio, preoccupandoci solo di dare il massimo e di crescere. Fu una stagione positiva. Un primo passo verso la costruzione del gruppo che poi, nel 1984/1985, avrebbe ottenuto la prima storica promozione in A. Nessuno di noi, naturalmente, lo immaginava nemmeno lontanamente».

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