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Superiori, ma poco rabbiosi. Attento Lecce: vietato ripetere gli errori degli anni di C

Quattro indizi fanno una prova: per i ragazzi di Corini si profila una stagione da osservati speciali, e per questo la sola qualità può non bastare. Serve la cattiveria della big.

Dopo due stagioni da outsider, prima nella lotta-promozione della Serie B 2018/19 e poi in quella salvezza nella scorsa Serie A, il Lecce torna ad essere una “grande”. Lo è per definizione, come spesso accade ad ogni squadra, o quasi, che viene da una categoria superiore. Lo è però anche per una qualità indiscutibile di una rosa magari non perfetta o troppo superiore, ma che è sotto gli occhi di tutti. Lo è, e lo abbiamo visto nelle prime uscite stagionali, per l’atteggiamento tenuto dalle avversarie, il che rappresenta il rovescio della medaglia dell’essere tra le favorite alla vittoria del campionato.

L’essere superiori sulla carta nasconde infatti insidie importanti che potrebbero manifestarsi, e lo hanno già fatto, nel corso di ogni match. Insidie che il Lecce conosce benissimo per un recente (e sofferto) passato da big di una categoria, la Serie C, che ha faticato eccome a lasciare. Ed il rischio, adesso, è ripetere quanto visto in quelle stagioni.

No, ovviamente non stiamo parlando della possibilità che i salentini tornino a calcare i palcoscenici della terza serie. Qui il discorso è tutt’altro, e si traduce nella difficoltà di potersi esprimere con il proprio gioco, di poter dar sfogo alle proprie qualità nei testa a testa domenicali e non. Da quando esiste il calcio, è risaputo che ogni squadra che ha delle qualità può metterle meglio sul campo se ha di fronte compagini più “aperte”. Scese quindi in campo meno con l’atteggiamento di chi deve innanzitutto chiudere le fonti del gioco avversario, e poi fare il proprio.

Pordenone e Brescia lo hanno fatto benissimo, meno l’Ascoli e la Cremonese. Ma forse è proprio quella di ieri la partita da prendere a manifesto di ciò che il Lecce dovrà e non dovrà fare in questa stagione. La maggior parte degli spartiti del match saranno questi: giallorossi con in mano il pallino del gioco, avversari guardinghi e attenti a non lasciare spazi. Per poi, appena i giallorossi presumeranno (e lo hanno fatto in 3 gare su 4) che il gol del vantaggio sia ormai lì ad un passo, ecco le maglie larghe dalla cintola in giù che offrono il fianco all’affondo avversario.

Da un lato situazioni in teoria difficili da evitare, poiché non si può attaccare e difendere allo stesso tempo. Si può però preventivamente essere sul pezzo, consapevoli che i gol si guadagnano con la consistenza e la verve agonistica, non con la fisiologica superiorità territoriale. Come si può ovviare a questi rischi, dunque? Con l’atteggiamento. L’atteggiamento è tutto.

Di settimana in settimana, si troveranno sempre i Bisoli di turno per cui “il Lecce ha una rosa che lo costringe a cercare di stravincere”. Il che si traduce con “giochiamo contro il Lecce, dovremo dare il doppio”. Ecco, per questo motivo per Lucioni e compagni è bene che, quanto prima, entri in testa una cosa: i gol non si fanno, né si evitano, soltanto perché si è più forti degli altri nei singoli. Tutto passa dalla rabbia e cattiveria agonistiche, quelle viste in una ripresa in cui tutto sembrava perduto, e che invece per un nulla non si è trasformato in vittoria. Essere più tecnici non deve significare essere meno animali affamati di chi vuole tornare a casa dicendo “ho strappato un punto al Lecce”. Una lezione che, purtroppo, abbiamo imparato in sei stagioni da incubo qualche annetto fa. Una lezione, quella delle prime uscite stagionali, che i giallorossi devono fare propria prima che sia troppo tardi.

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